L'abbazia. Monte Oliveto, da 700 anni faro di spiritualità e bellezza
L'abbazia di Monte Oliveto Maggiore sulle colline a trenta chilometri da Siena
«Settecento anni di vita non sono un peso ma una grazia di chiaro profumo pasquale». È raggiante dom Diego Gualtiero Rosa, abate generale di Monte Oliveto Maggiore. La sua stanza, sobria ed essenziale, si trova nel cuore dell’abbazia a trenta chilometri da Siena che sembra uscire da una cartolina. Circondata com’è dal verde dei boschi e dal giallo ocra delle crete che segnano il paesaggio in questo angolo di Toscana. È qui, a Chiusure di Asciano, che l’ha fondata sette secoli fa san Bernardo Tolomei, il nobile senese che con altri due figli di illustri famiglie della città, Patrizio Patrizi e Ambrogio Piccolomini, si ritirò nel “deserto di Accona” per vivere secondo la Regola di san Benedetto. Quel cenobio autorizzato dal vescovo di Arezzo, Guido Tarlati, il 26 marzo 1319 sarebbe diventato il centro della Congregazione benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto che oggi annovera 19 monasteri, tra i quali 11 abbazie, ed è presente oltre che in Italia anche in Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Israele, Corea del Sud, Usa, Brasile, Guatemala. E giovedì 11 luglio, memoria del santo di Norcia, sarà festa solenne con il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano.
«Viviamo il nostro speciale “compleanno” – spiega dom Rosa – anzitutto nella preghiera e nella gratitudine al Signore per questi secoli di vita monastica che continua nell’attuale comunità composta da 32 monaci, tra i quali un gruppo di giovani vocazioni. E, con la preghiera, ecco la memoria: il ricordo di una storia esplorata anche attraverso convegni e pubblicazioni per conoscere meglio il nostro passato visto come chiave di accesso al futuro da preparare con la sapienza del cuore. Sono previste celebrazioni liturgiche, alcune già avvenute come quella di apertura dell’anno centenario, l’8 aprile scorso, con la presenza dell’intera Conferenza episcopale toscana, presieduta dall’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, che in una splendida omelia ha sottolineato il ruolo di un’abbazia benedettina oggi».
Che cosa dice all’uomo di oggi il “deserto” intorno a Monte Oliveto?
Anzitutto il primato della bellezza. La nostra abbazia, adagiata in silenziosa armonia nel paesaggio mozzafiato delle colline senesi, respira bellezza fin dall’inizio. Una bellezza con alcune sfumature di austerità ma molto intensa. Perché il tocco di Dio si unisce all’erompere della natura, all’eccezionale corredo artistico, al lavoro dell’uomo. Elementi che riportano il cuore del monaco e di ogni persona alla sua vera vocazione: essere bellezza che annuncia il Vangelo.
San Benedetto è al centro del vostro carisma e sul suo esempio vi siete diffusi nel mondo.
L’abbazia fin dalla sua fondazione segue la Regola benedettina che, dopo la Parola di Dio, è il testo che caratterizza e ritma il nostro quotidiano. Essa offre un progetto di vita sempre attuale e affascina diversi giovani che poi abbracciano la vita monastica. San Benedetto, mentre scricchiolava l’Impero romano nel VI secolo, sottolineando il primato di Dio, la centralità di Cristo, della liturgia, delle relazioni fraterne in comunità, il valore del lavoro e lo studio ha disegnato le radici cristiane dell’Europa. Mi sembra urgente il “ritorno” di Benedetto nel continente. E mi auguro che quest’ultimo metta nelle sue mani il proprio futuro.
Sulla spinta di Bernardo Tolomei, la Congregazione ha una spiccata spiritualità mariana. Come Maria è donna dell’incontro?
In Lei si incontrano col suo Fiat il cielo e la terra, l’umano e il divino, le parole e il silenzio. Il monaco vive su questi tre crinali ed esorta l’uomo a non temerli e anzi a solcarli. Come espressione esteriore della nostra devozione mariana, indossiamo il tradizionale abito benedettino ma di colore bianco, oltre ad aggiungere il nome di Maria a quello monastico.
Monte Oliveto è un’oasi di spiritualità marcata dalla contemplazione ma anche aperta al mondo nel segno della carità. Come essere accanto all’uomo contemporaneo?
Anzitutto con il ministero dell’intercessione mediante il quale la Liturgia monastica delle Ore (che riserva molto spazio al canto gregoriano) diviene cassa di risonanza delle gioie e delle sofferenze del mondo intero. Quindi l’accoglienza, attitudine evangelica che san Benedetto ci raccomanda per addestrarci a riconoscere il passaggio di Cristo forestiero nei sentieri tortuosi del nostro sofferto presente. Accogliamo spesso alcune “periferie” che cercano una risposta ai loro nodi esistenziali e spirituali.
E l’abbazia è uno scrigno non solo di fede ma anche d’arte.
La via della bellezza, che come in altre abbazie benedettine attraversa anche la nostra, attiva lo stupore, una vera e propria emozione di qualità che apre il cuore alla riscoperta di un Dio che non lascia al caso le cose che fa, ma ama raccontarsi proprio con tracce e indizi del bello.
LA STORIA DELL'ABBAZIA NEL "DESERTO" DI SIENA: SILENZIO E PREGHIERA PER INCONTRARE L'UOMO
Quello che in origine era il “deserto di Accona”, altura inospitale e fuori mano a trenta chilometri da Siena, è oggi un faro di spiritualità e di bellezza. La trasformò in una cittadella del silenzio e della contemplazione il “fratello” dei malati di peste: Giovanni Bernardo Tolomei. Era l’inizio del Trecento quando venne fondato il primo nucleo della Congregazione benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto dal nobile senese che fin da subito ottenne di essere venerato con il titolo di beato e che dieci anni fa, nel 2009, è stato proclamato santo da Benedetto XVI.
Il sole illumina i mattoni rossi di Monte Oliveto Maggiore, oggi abbazia territoriale direttamente soggetta alla Santa Sede. La comunità monastica ha da poco aperto i festeggiamenti per i sette secoli della casa-madre. La Charta fundationis – conservata nell’archivio locale – ha una data precisa: quella del 26 marzo 1319. La concesse il vescovo di Arezzo, Guido Tarlati, che autorizzava a erigere quel cenobio “sotto la Regola di san Benedetto” che sarebbe diventato l’embrione della Congregazione approvata nel 1344 da papa Clemente VI. Destinatario del testo di Tarlati era un drappello di «uomini amati da Dio» che avevano lasciato ricchezza e agi della città e si erano rifugiati in un angolo delle crete senesi, di proprietà della potente famiglia Tolomei, «con i loro arnesi e i loro libri per offrire al Signore un sollecito servizio», scriveva il monaco Antonio da Barga nella sua Cronaca del 1450. Un servizio che adesso diremmo capace di coniugare preghiera e lavoro, liturgia e arte, devozione mariana e attenzione al mondo.
Perché Monte Oliveto è, sì, prima di tutto un’oasi che ha al centro l’ora et labora del santo di Norcia e poi una marcata spiritualità mariana, testimoniata dall’abito bianco dei monaci che rimanda alla “conversione” del fondatore dopo la sua malattia agli occhi. La preghiera corale è chiamata opus Dei; e l’architettura evoca quell’unione fra cielo e terra che vuole essere Monte Oliveto e che è richiamata anche dal chiostro, simbolo della radicalità monastica che è comunione con Dio (infatti manca il tetto e lo sguardo si alza verso l’alto) e con i fratelli. Proprio il chiostro va considerato una delle “meraviglie” dell’abbazia con il celebre ciclo di affreschi sulla vita di san Benedetto dipinti prima da Luca Signorelli e poi dal Sodoma. È la via della bellezza che gli olivetani propongono per avvicinarsi all’assoluto.
Ma Monte Oliveto è anche un centro culturale che ha attratto – e continua ad attrarre – viandanti di Dio e uomini in ricerca, gente dalla profonda fede e persone smarrite. Ed è “santuario” in cui il primato di Cristo si declina nell’abbraccio all’uomo. È l’eredità di Bernardo Tolomei, «martire della carità» che, secondo la tradizione, morì a Siena mentre assisteva nel monastero di San Benedetto i confratelli colpiti dalla “peste nere” che nel 1348 stava devastando l’Europa. Oggi la «carità per tutti» è tradotta dai suoi monaci in uno spirito di accoglienza verso chiunque bussi alle porte della grande complesso nel cuore della Toscana.
IL CALENDARIO DELLE CELEBRAZIONI DEL SETTIMO CENTENARIO
Sono in corso le celebrazioni del settimo centenario di fondazione dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore in provincia di Siena. Preambolo è stata la Messa dello scorso 26 marzo presieduta dall’abate generale dom Diego Gualtiero Rosa durante la quale è avvenuta anche la benedizione abbazziale di due nuovi abati olivetani: padre Giacomo dell’abbazia di San Bernardo Tolomei in Corea del Sud e padre Mark-Ephrem dell’abbazia della Santa Croce nell’Irlanda del Nord. L’8 aprile l’omaggio dei vescovi della Toscana con la sessione della Conferenza episcopale regionale ospitata nell’abbazia e l’Eucaristia presieduta dal cardinale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori.
Il 10 maggio è stato emesso lo speciale annullo filatelico per i settecento anni dell’abbazia (acquistabile nel negozio del complesso). Nel calendario delle iniziative rientra la mostra “Omaggio a Luca Signorelli” che è stata inaugurata sabato scorso e che resterà aperta fino al 31 agosto. Particolarmente solenne sarà giovedì 11 luglio la festa di san Benedetto quando arriverà il cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, che alle 11 presiederà la Messa.