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Governatori e sindaci. Il caso Zaia e terzo mandato: è un nuovo match Salvini-Meloni

Arturo Celletti venerdì 16 febbraio 2024

Solito schema. Solito braccio di ferro. Soliti duellanti. Matteo Salvini da una parte e Giorgia Meloni dall'altra. Dopo le incomprensioni sull'Irpef agricola il match nella maggioranza si sposta al Senato. Qui l'arma brandita dal capo della Lega è un emendamento con cui chiede di portare da due a tre i mandati dei presidenti di Regione.

Un'altra grana per Palazzo Chigi. Meloni non parla. Osserva. Infastidita e insospettita verso l'alleato leghista. Perché l'emendamento è stato ormai presentato e la prossima settimana gli Affari costituzionali dovranno necessariamente occuparsene. Quindi o la Lega lo ritira oppure il governo dovrà scegliere se dare parere contrario oppure rimettersi alla Commissione. Con il rischio che Pd e M5s si mettano in scia del Carroccio per spaccare la maggioranza. Ma cerchiamo di capire perché Salvini vuole il terzo mandato e Meloni non lo vuole. Tutto (o almeno molto) ruota attorno a un nome: Luca Zaia, l'attuale governatore del Veneto. È il ministro Luca Ciriani, uno dei più ascoltati collaboratori di Giorgia Meloni, a salire sul ring.

Il responsabile dei rapporti con il Parlamento guarda al Veneto, storica roccaforte leghista tallonata dai meloniani e al voto nel 2025: «Noi vogliamo giocare tutte le partite. Nessuno è eterno, neanche Zaia». Il "doge" veneto non ci sta: «Mi sento un po' come San Sebastiano con le frecce che arrivano». E chi conosce bene il governatore sa che messo alle strette potrebbe anche mandare un primo segnale alle provinciali di marzo: una corsa solitaria per far vedere chi pesa nel centrodestra.

È una partita complicata. C'è la grana terzo mandato per i governatori. C'è il capitolo collegato del terzo mandato per i sindaci. C'è un dibattito che scuote il centrodestra e ci sono le prime fibrillazioni anche nelle opposizioni. Andiamo per ordine. Dicevamo del centrodestra. Salvini spinge co forza. Meloni (e Tajani che gioca di sponda con la premier) frenano con altrettanta decisione. I motivi sono molteplici. Meloni vorrebbe candidare in Veneto il coordinatore regionale di Fdi Luca De Carlo («Non abbiamo la presidenza di alcuna regione del Nord e io sono pronto», spiegava nelle ultime ore).

Ma se così andasse davvero a finire Salvini si troverebbe a dovere gestire la grana di un ingombrante Zaia (per il quale si vocifera come piano B di una candidatura alla presidenza del Coni quando, a maggio 2025, scadrà Giovanni Malagò). C'è collegato il capitolo opposizioni, visto che il terzo mandato permetterebbe a Vincenzo De Luca e Michele Emiliano di ricandidarsi in Campania e Puglia, due regioni dove - senza gli uscenti in campo - il centrodestra può giocarsela. Ecco, per tutte queste ragioni il «no» di Meloni al terzo mandato è granitico. E per tutte queste ragioni Salvini ripete "o Veneto o morte". Come finirà è presto per dirlo. C'è una settimana di tempo per capire e per capirsi.

Giovedì infatti la commissione potrebbe votare l'emendamento sui mandati dei governatori. Giorni preziosi per trovare un accordo. Con una data cerchiata in rosso: il 21 febbraio Salvini, Meloni e Antonio Tajani saranno insieme a Cagliari per chiudere la campagna elettorale di Paolo Truzzu, candidato di coalizione faticosamente trovato in Sardegna. Sarà quella l'occasione per chiudere l'intesa? Ciriani tende mezza mano ai leghisti: «La questione va posta in un altro contesto, se ne può ragionare ma non in un decreto».

Ma la vecchia guardia leghista, specie quella veneta, non si rassegna e mantiene l'emendamento come grimaldello (magari solo tattico) per poter blindare il Veneto o almeno mettere agli atti che si sono battuti fino all'ultimo per difendere lo storico feudo. Una partita che agita Salvini che teme lo strapotere di Meloni. Che guarda con sospetto l'ipotesi di una corsa (per la verità sempre meno possibile) della premier alla guida di Fratelli d'Italia elle europee di giugno. E non a caso a via Bellerio spunta anche l'ipotesi di anticipare il congresso nazionale della Lega ad aprile, prima del voto di giugno, per blindare la leadership del segretario da eventuali contraccolpi post elettorali.

Terzo mandato sì o no?

Ma al di là delle conveniente e delle ambizioni dei singoli perché terzo mandato sì o terzo mandato no? «Il terzo mandato non può trasformarsi in una contrapposizione fra diverse forze politiche di maggioranza o opposizione. Bisogna chiedersi se è giusto o no che i cittadini possano scegliere. Anche la possibilità, che io condivido sia ben chiaro, del terzo mandato per i Comuni sotto i 15 mila abitanti, è in netta contrapposizione con la logica di non dare il terzo mandato a governatori e sindaci delle città più grandi», spiega Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia e colonnello della Lega.

Dal fronte Pd parla Matteo Biffoni, sindaco di Prato: «In Europa nessun Paese, con pochissime eccezioni, ha limiti per i sindaci. Quindi ripeto la domanda: perché solo in Italia? Per me è una battaglia di democrazia che avrei fatto anche se non fossi alla fine del mio mandato e devo dire che la Lega è stata coerente. La segreteria farà le sue valutazioni, lunedì c'è una Direzione dove si parlerà anche di questo». Il dibattito si allarga e il terzo mandato, quello dei sindaci, ha aperto una crepa anche nel Pd. Francesco Boccia ha esternato il "no" della segreteria Dem, perché il terzo mandato creerebbe "dei satrapi". Il sindaco di Pesaro Matteo Ricci ha chiesto che questa non sia la posizione del partito, e anche il primo cittadino di Firenze Dario Nardella ha chiesto di approvarlo, come nei mesi scorsi aveva fatto il sindaco di Bari Antonio Decaro. Visto il voto degli emendamenti la prossima settimana un chiarimento si impone.