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Ue. Von der Leyen-bis, rinvio dopo il vertice notturno (anche per i dubbi di Meloni)

Giovanni Maria Del Re, Bruxelles lunedì 17 giugno 2024

Ursula von der Leyen fra i primi ministri Viktor Orban (Ungheria), Andrej Plenkovic (Croazia) e Luis Montenegro (Portogallo)

Alla vigilia della cena informale dei leader sembrava ormai cosa quasi fatta la conferma del pacchetto dei vertici Ue, con la volontà di fare presto. Perché dopo le Europee, dopo i drammi politici in Germania e in Francia, i leader ritrovatisi ieri pomeriggio per discutere sui vertici dell’Unione sembravano orientati a evitare polveroni e caos. Invece un’impuntatura di Giorgia Meloni verso Ursula von der Leyen (quest’ultima ha partecipato solo alla prima parte della serata), imprevista dopo il G7 del fine settimana, ha creato tensioni in quella che doveva essere una tranquilla cena per spianare la strada al Consiglio Europeo del 27-28 giugno, che dovrà prendere la decisione formale. Dopo aver visto il polacco Morawiecki e l'ungherese Orban, la nostra premier avrebbe dettato la linea ai suoi: «Vediamo se saranno autosufficienti senza di noi». Una decisione, quella su Von der Leyen, che andrà poi confermata dal Parlamento Europeo a Strasburgo, probabilmente a luglio. Lunedì però era il turno dei leader e per nominare Von der Leyen bastava la maggioranza qualificata: visto che ha contro solo il premier ungherese Viktor Orbán, e probabilmente lo slovacco Robert Fico (ieri rappresentato dal presidente Peter Pellegrini), anche con l’Italia non ci sarebbero i numeri per un blocco. Ma un’intesa senza l’Italia non è semplice da un punto di vista politico. Perciò, dopo vari stop and go, la cena si è conclusa con un salomonico "no deal expected today", ovvero non era previsto nessun accordo, quindi si va dritti al Consiglio formale del 27-28 giugno, che dovrà deliberare ufficialmente i nuovi vertici europei.

A mezzanotte il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, sancisce lo stallo: "Per il momento non c'e' un accordo ma sono stati compiuti passi nella giusta direzione". "E' nostro dovere - prosegue Michel - trovare l'accordo entro la fine di giugno. Non era l'obiettivo di questa sera decidere", ma "in termini legali" la decisione è "in programma la prossima settimana".

Vari leader si erano presentati all’appuntamento spargendo ottimismo. «Sono assolutamente certo – dichiarava il cancelliere tedesco Olaf Scholz – che possiamo raggiungere un’intesa in tempi brevissimi. È importante che decidiamo in fretta perché siamo in tempi difficili». Scholz ribadisce però una condizione: «Al Parlamento Europeo non dovrà esserci un sostegno per la presidente della Commissione basata su partiti populisti di destra e sinistra». La vede così anche il presidente francese Emmanuel Macron. L’idea che si consolida è la ripetizione della “coalizione Ursula” e cioè Popolari, Socialisti e democratici e i liberali-macroniani di Renew. Insieme avrebbero 403 voti, 42 in più rispetto alla maggioranza necessaria dei 361 voti. Il problema è il rischio di “franchi tiratori” in aula, motivo per cui Von der Leyen occhieggiava a Fdi (mentre si sono proposti i Verdi). «Non è mio compito convincere Giorgia Meloni – afferma il premier polacco Donald Tusk -, ora abbiamo una maggioranza costituita dai partiti di centro, i socialdemocratici, il Ppe, i liberali e alcuni gruppi più piccoli. La mia sensazione è che sia più che sufficiente>.

Non a caso, la serata si è aperta con una lunga riunione, che ha portato a un ritardo dell’avvio della cena, dei negoziatori per le nomine: il premier spagnolo Pedro Sánchez e Scholz per i socialisti, Tusk e il premier greco Kyriakos Mitsotakis per il Ppe, e, per Renew, Macron e il premier olandese Mark Rutte. Proprio il continuo vedersi e rivedersi tra popolari, socialisti e liberali sarebbe uno dei motivi per cui la stessa Meloni avrebbe preso tempo e impedito di fatto il raggiuntimento di un accordo in tempi rapidissimi.

In gioco è un pacchetto che deve tener conto dei delicati equilibri tra le famiglie politiche. Il Ppe ha vinto e nessuno mette in discussione che debba indicare il presidente della Commissione. E visto che Ursula von der Leyen era la «candidata di punta» del Ppe, i popolari pretendono la sua conferma. Per il posto di presidente del Consiglio Europeo ieri sera restava in pole position l’ex premier portoghese Antonio Costa, socialista, appoggiato dal suo successore di centro-destra Luis Montenegro. Qualche dubbio nel Ppe (anche Tajani, per il quale «non è fermo sull’Ucraina») rimane, visto un suo presunto coinvolgimento in uno scandalo di corruzione. Le accuse si sono sgonfiate, ma Tusk ha chiesto «un chiarimento». Qui però si è aggiunto un altro problema: i popolari chiedono ora che, scaduti i due anni e mezzo del mandato del presidente del Consiglio Europeo, il posto passi a un popolare, visto oltretutto che nello stesso periodo dovrebbe succedere un socialista alla popolare Roberta Metsola (la cui conferma è data come quasi certa) alla presidenza del Parlamento Europeo. Per i liberali si conferma favorita la premier estone Kaja Kallas come Alto rappresentante Ue, anche se rimangono dubbi per le sue posizioni fissate contro la Russia.