Attualità

Bruxelles. La partita dei commissari Ue si gioca tra soli uomini

Antonella Mariani giovedì 29 agosto 2024

Ursula von der Leyen

Cento minuti di colloquio a Palazzo Chigi - fra Giorgia Meloni e Manfred Weber, giunto a Roma per la terza volta in 2 anni - che segnano la ripresa politica di fine agosto. A 40 giorni dalla ri-elezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Europea (e dalla scelta della premier italiana di non votarla, come leader dei conservatori dell’Ecr) il lungo colloquio tra la premier e il presidente del Partito popolare europeo segna una svolta, di fatto, destinata a lasciare il segno: è da vedere nei prossimi giorni con quali effetti. Primo obiettivo: l'elezione di Raffaele Fitto, su cui Meloni ha puntato fin dall'inizio per un “incarico di peso” in Europa.

Comunque vada, non sarà un successo. Il varo della Commissione Europea non è mai un processo facile: la presidenza deve vagliare i nomi proposti da ciascun governo, assegnare i ruoli in base al “peso” dei Paesi, equilibrare le famiglie politiche, scegliere i vice mettendo insieme le aspettative, le ambizioni e le pretese delle capitali… Un rompicapo a cui si aggiunge una questione che è meno marginale di quel che qualcuno immagina: l’equità di genere. Ed è su questo aspetto che la presidente riconfermata Ursula von der Leyen ha subìto il primo smacco del suo secondo mandato. La politica tedesca aveva avanzato una richiesta ai governi membri della Ue: indicare due candidature, una femminile e una maschile, proprio per garantire l’equilibrio nella composizione del futuro esecutivo Ue. Nessun governo ha rispettato la richiesta, e già questo, nei fatti, è uno sgarbo istituzionale. Il risultato è che per von der Leyen sarà ben difficile far quadrare i conti. «Too many men» è la sintesi perfetta proposta dal Financial Times: tra i candidati presentati dai 26 Paesi membri (la Germania è il 27esimo, già rappresentato dalla stessa presidente), infatti, ci sono “troppi uomini”. Per l’esattezza, a oggi abbiamo 7 donne (6 più la presidente) su 27 poltrone, un quarto. Poco, seppure in una Europa in cui a capo del governo, del Parlamento e della Banca centrale ci sono tre donne.

Facciamo un passo indietro. La Commissione Europea, organo esecutivo dell’Unione, è formata dunque da 27 componenti (un presidente, 8 vicepresidenti - di cui 3 esecutivi e l’Alto rappresentante per la politica estera -, anche se sembra che ora von der Leyen voglia cambiare la struttura dei suoi vice, più 18 commissari), uno per ciascun Paese, con competenze simili a quella di un governo nazionale: Esteri, Agricoltura, Transizione ecologica, Mercato Interno, ecc. Negli statuti non ci sono regole che prospettino “quote rosa”: e non sarebbe nemmeno possibile, a causa del modo molto particolare in cui vengono nominati i commissari, in pratica una cooptazione da parte dei governi nazionali. Nessuna regola, ma una richiesta specifica della presidente, che 5 anni fa aveva composto un puzzle che comprendeva 13 donne e 14 uomini, con una perfetta parità che sembra, date le premesse, non replicabile. Due caselle sono già state riempite da nomi di grande spessore: la presidente (Germania), appunto, e Kaja Kallas (ex prima ministra dell’Estonia), vicepresidente e Alta rappresentante per gli esteri e la politica di sicurezza. Le altre cinque candidature femminili sono altrettanto prestigiose: Dubravka Suica per la Croazia, Henna Virkkunen per la Finlandia, Jessika Roswall per la Svezia e, arrivata proprio ieri, Maria Luis Albuquerque per il Portogallo; per la Spagna è data per certa la “fuoriclasse” Teresa Ribera. Cinque Paesi hanno goduto di una specie di “pass”, riconfermando i commissari uscenti (maschi): Francia, Ungheria, Lettonia, Olanda e Slovacchia. Tutti gli altri hanno ignorato la richiesta sulla doppia candidatura. Compresa l’Italia, che domani ufficializzerà il nome di Raffaele Fitto senza che sia emersa, nemmeno come ipotesi, una seconda opzione femminile. Auspica un passo in extremis in questo senso Lia Quartapelle, deputata Pd e vicepresidente della commissione Esteri della Camera: «Meloni è una delle poche prime ministre della Ue. Potrebbe dare il buon esempio e indicare due nomi, attenendosi alle indicazioni di von der Leyen di valorizzare una donna», dice ad Avvenire, preoccupata perché «non si può mai dare per acquisito l’avanzamento delle donne». Difficile che il suo auspicio si verifichi, comunque.

La presidente della Commissione, dal canto suo, non si arrende: «Sostiene la propria convinzione che nel mondo moderno abbiamo bisogno di avere quante più donne possibili in posizione di responsabilità – ha detto il portavoce della Commissione, Eric Mamer -. Sta facendo tutto ciò che è in suo potere per garantire un governo ben bilanciato». Tra quello che è “in suo potere”, secondo il Times of Malta, von der Leyen starebbe cercando di convincere i Paesi più piccoli a cambiare la propria scelta per privilegiare una donna: proprio La Valletta sarebbe stata sollecitata a rinunciare a Glenn Micallef, capo segreteria del premier Robert Abela, per riproporre la commissaria uscente Helena Dalli. Di fronte alla neghittosità dei governi von der Leyen, secondo il sito Politico, avrebbe rilanciato promettendo portafogli di peso o vicepresidenze per le future commissarie. Un “incoraggiamento” agli ultimi tre governi che mancano all’appello prima della scadenza del 30 agosto: Italia (che però ha già puntato tutto su Fitto), Bulgaria e Belgio.

Sbaglia però chi pensa che la questione sia “solo” di parità di genere. In effetti, c’è dell’altro. C’è la volontà delle capitali di rimarcare la propria sovranità nazionale. Al “suggerimento” di von der Leyen, insomma, si risponde con un secco: facciamo noi. È l’annoso tema del bilanciamento di poteri tra Bruxelles e i Paesi membri, in un quinquennio che sarà dominato da confronti aspri su questioni politicamente rilevanti, anche considerando la virata a destra di una parte dell’Europa, la stessa che non sostiene il governo in carica. E c’è anche un meccanismo di scelta che non risponde a criteri di completa trasparenza o di merito e curriculum; secondo Quartapelle, «il metodo della cooptazione premia reti di potere di cui gli uomini si avvantaggiano più delle donne». Se il primo test di von der Leyen è fallito, il secondo è quello decisivo: l’esame di Strasburgo. Il Parlamento Europeo avvierà una complessa procedura di audizioni, che terminerà con la fiducia ai singoli commissari e potrebbe riservare anche qualche bocciatura. Il tutto, se va bene, entro fine ottobre. «Molti tra i 720 parlamentari si stanno leccando i baffi alla prospettiva di giocare duro con qualche candidato – scrive il Financial Times - . Se la lista delle proposte è dominata dagli uomini, potrebbero sentirsi in diritto di rifiutare il sostegno».


La prospettiva di una Commissione al maschile, in ogni caso, apre anche qualche interrogativo sul rapporto tra le donne e la politica. Per Nicoletta Parisi, docente di Diritto internazionale alla Cattolica di Milano ed esperta del Consiglio economico e sociale europeo (Cese), «c’è una scelta culturale dietro alla designazione così massiccia di candidati uomini. Soprattutto in certi Stati, evidentemente le donne non sono ritenute all’altezza. Se in alcuni ambiti lavorativi si va verso una effettiva parità, in politica la strada è ancora lunga. Eppure è indispensabile: essendo uomini e donne diversi, insieme possono fornire risposte e soluzioni ai problemi efficaci per tutti, uomini e donne. La ricchezza viene nel mescolare le diversità». Anche nella Commissione Ue.