Attualità

Gli scritti. Giorgio Armillei, la voce critica del cattolicesimo riformista

Marco Iasevoli mercoledì 18 maggio 2022

Giorgio Armillei

Con Giorgio Armillei, poco più di un anno fa, ha smesso di pungere e far riflettere una delle voci più autorevoli del cattolicesimo democratico di impronta liberale e riformista. Ternano, protagonista della stagione referendaria della Fuci e del Meic, è rimasto incardinato sino all’ultimo giorno di vita nel servizio all’Azione cattolica e, con un respiro largo, a tutto l’associazionismo di stampo conciliare. La vibrante e seria passione politica è rimasta quindi sempre – salvo una breve stagione da assessore comunale “tecnico” - nell’alveo del contributo libero e generoso, in uno stile di gratuità che non ha bisogno di riconoscimenti ufficiali e “premi di partito”. Stefano Ceccanti e Isabella Nespoli, tra i più cari amici di Armillei, in tempi record hanno raccolto i più significativi contributi pubblicati da Armillei sul sito landino.it, il blog che dal 2007 funge da riferimento per un gruppo di studiosi che ogni anno si ritrova a Camaldoli per tenere viva la tensione – diventata quasi maledizione nel Paese – verso le riforme istituzionali. Ne è venuto fuori “La forza mite del riformismo”, volume corposo e vario edito da “Il Mulino”, con prefazione dei curatori e contributi originali di Sergio Fabbrini, Carlo Fusaro e dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, la cui amicizia fraterna con Armillei è maturata quando l’attuale presidente della Pontificia accademia per la vita era vescovo di Terni.

Vicino con perenne sofferenza al Pd, ma senza mai prenderne la tessera, Armillei ha coltivato nella vita un inguaribile riformismo che era - consiglia il figlio Francesco in una semplice ed intima postfazione - semplicemente frutto di «un sistematico ottimismo nei confronti del futuro». L’intralcio alla concretizzazione di disegni di modifica della Carta e dell’assetto istituzionale era, per Armillei, in quel «quadrilatero» che «strangola la sinistra in Italia». Ne scrive il 18 aprile del 2011. Un quadrilatero fatto di «diversità convergenti», il cui primo asse è il «neo-intransigentismo costituzionale» secondo cui – e qui emerge la libertà di Armillei - «tutto quello che è avvenuto dopo il 1994 è fuori dalla legalità costituzionale». Secondo pilastro, il «giustizialismo». Terzo, l’«azionismo» nella sua versione del «dirigismo illuminato» o presunto tale, con i suoi avanposti mediatici. Ultimo pilastro del quadrilatero strangolante, la «sinistra del Novecento» con la sua «versione ipersemplificata del lavoro e l’idea che capitalismo e democrazia liberale siano in fin dei conti incompatibili».

Partendo da questa analisi spietata, si comprende il ricco investimento emotivo di Armillei sulla riforma-Renzi del 2016, anche se, già diversi mesi prima della consultazione popolare, lo studioso ternano pareva aver individuato molti dei limiti della stagione dell’ex sindaco di Firenze. La fiducia riformista restava però intatta in Armillei anche dopo la sconfitta referendaria, ma si declinava ormai in nell’auspicio che il Pd post-renziano non abbandonasse del tutto la necessità di aggiornare le istituzioni. Da questo punto di vista il ragionamento di Armillei era ferreo: inutile invocare il cambiamento dei partiti e della politica conservando intatto un sistema istituzionale che favorisce “questi” partiti e “questa” politica. Non a caso nell’ultimo scritto del 29 maggio 2021, a pochi giorni dalla morte improvvisa per un malore, Armillei si mostra preoccupato dalla «ostinazione identitaria» del Pd di Enrico Letta.

Preoccupato anche dalla stagione populista e preoccupato soprattutto di rimarcare una – semplifichiamo - “quasi-incompatibilità” tra populismo e impegno da credenti in politica, per Armillei l’analisi politica era inscindibile da quella intraecclesiale. La sua lunga esperienza nell’associazionismo e nella Chiesa gli rendeva evidente quanto fosse difficile un anelito comune dei credenti sulla scena pubblica – senza per forza invocare il partito unico – nel momento in cui lo stesso corpo ecclesial-laicale era disunito e indebolito. Per questo motivo, la lettura della stagione ruiniana da parte di Armillei fu in parte diversa da quella di molti suoi compagni di viaggio. Lo evidenzia Paglia aprendo con un suo contributo la sezione del testo dedicata agli scritti ecclesiali. L’arcivescovo ricorda le critiche di Armillei verso un «interventismo accentratore dei vescovi», allo stesso tempo ricorda come l’intellettuale ternano riconoscesse alla stagione ruiniana di aver «aver fatto compiere qualche passo in avanti al movimento cattolico italiano». Forse, scrive Armillei citato da Paglia, quella fase «avrebbe meritato competitori altrettanto efficaci».