Attualità

La rivelazione. Volevano uccidere il giudice che tenta di salvare i ragazzi dalla mafia

Antonio Maria Mira venerdì 5 aprile 2024

Il procuratore del minori di Reggio Calabria, Roberto Di Palma

La ‘ndrangheta voleva uccidere Roberto Di Palma, oggi procuratore dei minori a Reggio Calabria, ma fino a pochi anni fa sostituto procuratore della Dda reggina, tra i più esperti e impegnati nella lotta alle potentissime cosche della Piana di Gioia Tauro. Ed era proprio una di queste, il clan Molè, ad aver progettato l’azione, contro Di Palma, padre di quattro figli, uomo di profonda fede, impegnato in varie iniziative sociali, soprattutto a favore dei minori.

A rivelarlo è stato il collaboratore di giustizia Domenico Ficarra, detto “Corona”, sentito nel processo “Nuova narcos europea” che si sta celebrando, con il rito ordinario, davanti al Tribunale di Palmi. Si tratta di un processo nato da un’inchiesta della Dda sul traffico internazionale di cocaina per il quale, con il rito abbreviato, è stato condannato a 20 anni di carcere Rocco Molé, detto "Roccuccio", 29 anni, figlio del boss Mommo Molè, e a 10 anni Teodoro Crea, detto “Teodorino”, 23 anni, nipote del boss di Rizziconi Teodoro “Toro” Crea.

Secondo Ficarra, il progetto di omicidio nascerebbe da uno scontro verbale avvenuto nel 2018 tra Mommo Molé e il magistrato. «Vi piace vincere facile - aveva affermato il boss in aula durante un processo -. Sempre con noi ce l’avete, vi volete fare pubblicità sulle nostre spalle». Di Palma, che da anni vive sotto stretta tutela, rispose secco: «Noi la trattiamo per quello che è, signor Molè. Un mafioso. Noi facciamo indagini e il nostro scopo non è certo farci pubblicità o acquisire notorietà. Se fosse vero, considerato che l’arresto ogni due mesi, dovrei essere procuratore nazionale e invece sono un semplice pubblico ministero. Lei, invece, signor Molè, non è nessuno. Come vede, qui non ci sono giornalisti, non ci sono telecamere perché lei, signor Molè, non conta più niente».

Frasi che non erano piaciute proprio al giovane Rocco, allora 23enne, che davanti agli altri affiliati della cosca così si era sfogato. «Adesso ti faccio vedere io chi sono i Molé». Progetto per fortuna non andato in porto. Ricordiamo che “Roccuccio” da ragazzo era stato allontanato dalla famiglia, nel tentativo di staccarlo dall’ambiente mafioso, così come “Todorino”. Sembravano convinti di scegliere un’altra vita, ma raggiunti i 18 anni erano rientrati nel clan, assumendo ruoli di comando.

Chi non ha cambiato idea è invece Di Palma, che continua a scommettere sulla possibilità di salvare anche questi ragazzi. «Dobbiamo recuperare i giovani e farli uscire da un percorso deviante. Ben 64 sono le messe alla prova attivate nel 2023 e la recidiva è bassissima anche se provengono da contesti disagiati». Così sabato 6 aprile a Reggio Calabria sarà con don Luigi Ciotti, e altri magistrati, all’incontro sul protocollo “Liberi di scegliere”, da pochi giorni rinnovato.