Covid. Le vittime nascoste del lockdown: tanti credenti perseguitati e assassinati
Cristiani in lacrime e in preghiera sulla tomba di un parente ucciso a Karachi in Pakistan
Oggi è la giornata che l’Onu dedica alla Commemorazione delle vittime di atti di violenza basati sul credo religioso. Un evento che si tiene per il secondo anno e che si colloca in una realtà, resa ancora più difficile dalle problematiche connesse alla pandemia di Covid-19.
L’emergenza, da un lato, accentua le discriminazioni e rende ancora più indifese le vittime. Dall’altro, impedisce una reazione efficace a livello istituzionale, di società civile o internazionale, insomma da parte degli attori che lo scorso anno la 75ma Assemblea generale delle Nazioni Unite ha chiamato «a creare una piattaforma inclusiva per gli Stati membri, le organizzazioni internazionali e la società civile per partecipare alle attività destinate a commemorare le vittime e a sostenere i sopravvissuti».
Le discriminazioni nella distribuzione degli aiuti a cristiani, indù e Ahmadi nel musulmano Pakistan e verso i cristiani e musulmani nell’India guidata dai nazionalisti indù, sono state più volte denunciate. Troppo spesso, però, simili situazioni sono state silenziate dalle priorità legate alla pandemia.
Come in Myanmar, dove negli ultimi mesi è proseguita con poche soste e ancor meno testimoni l’offensiva verso i musulmani Rohingya e altre etnie cristiane. Altrove in Asia, le misure di contenimento e la censura che accompagnano la lotta al coronavirus consentono alla repressione dei fenomeni religiosi (come per i musulmani Uighuri nello Xinjiang cinese) di essere pressoché ignorata all’esterno.
In tante aree dell’Africa e in Medio Oriente, tribalismo e discriminazione religiosa stringono d’assedio le minoranze, sovente utilizzando situazioni di conflitto. A questo si somma una gestione parziale degli aiuti e delle cure. Preoccupazioni richiamate dall’Onu nel messaggio che ricorda le ragioni della Giornata odierna.
«Siamo allarmati alla persistente discriminazione e violenza fondata sulla religione o che ne sfrutta il nome e che affligge in maniera sproporzionata donne e bambine, individui che appartengono a minoranza religiose, etniche e razziali (...)». «Assistiamo alla forte crescita dell’odio indirizzato alle varie comunità religiose durante la pandemia da Covid-19, inclusa una preoccupante tendenza all’antisemitismo. Minoranze e individui che subiscono discriminazione per la loro incerta definizione religiosa sono spesso rappresentati in modo negativo perché minerebbero la coesione sociale».
«Siamo preoccupati – si legge ancora nel messaggio – che gli Stati possano utilizzare la religione come strumento per delineare e rafforzare i già rigidi concetti di identità nazionale o violare i diritti umani e minare l’uguaglianza di genere». Un allarme ripreso dall’organizzazione Open Doors, la cui sezione italiana (Porte aperte) conferma come «comunità e minoranze religiose continuino a soffrire a causa di violenze basate sul loro credo» e come «gli atti violenti non accennano a diminuire. Al contrario, la pandemia e le sue conseguenze hanno solo inasprito le vulnerabilità di cui già prima soffrivano le minoranze religiose».
È anche Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) a segnalare, tra l’altro, il dramma delle comunità cristiane in India, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo. Situazioni, come pure quella del Pakistan, in cui è forte l’impegno di Acs. «L’auspicio è che d’ora in avanti non sia solo la celebrazione di un giorno – sottolinea Alessandro Monteduro, direttore di Acs-Italia –. Considero positivo che si sia deciso di tenere una giornata dedicata alle vittime di persecuzione, oppressione, terrorismo in odio alla fede. Un piccolo contributo affinché quella religiosa possa diventare una libertà di “serie A”».