VERSO LA SETTIMANA SOCIALE. Vite rinate nel villaggio della carità
La vita di Mario Dupuis è tutta segnata dalla
parola educazione. Padre di tre figli, insegnante per vent'anni, poi fondatore,
con altri amici, di questo villaggio della carità alla periferia di Padova
nato da un vecchio cascinale ristrutturato e che negli anni si è ampliato
mantenendo la struttura tipica di un insediamento rurale della campagna
veneta. Abita qui con la moglie e un'altra famiglia, le spine dorsali di
un'opera a cui prestano la loro collaborazione in varie modalità dieci
nuclei familiari e un pugno di educatori e volontari. Ca' Edimar ospita
due comunità per ragazzi in difficoltà, Casa Fraternità e Casa Anna (intitolata
alla figlia di Dupuis, disabile grave e morta in tenera età), una scuola
di cucina e una di panificazione nata dalla collaborazione con il Gruppo
panificatori e pasticceri della provincia di Padova che ogni giorno sforna,
tra l'altro, decine di chili di pane distribuiti ai poveri della città
attraverso associazioni benefiche. Ma l'associazione estende la sua attività
anche oltre queste mura, promuovendo percorsi di rimotivazione all'apprendimento
nelle scuole della città, attraverso il "Centro per le difficoltà di apprendimento"
attivato in collaborazione con l'Università di Padova.
Occhi azzurri,
barba bianca, uno sguardo intenso da cui è difficile non farsi calamitare,
Dupuis è colto da un sussulto mentre elenca le opere che sono nate negli
anni: «È vero, facciamo tante cose, ma tutto potrebbe finire anche domani
se all'origine non ci fosse la carità, la carezza di Cristo che si china
sulle ferite dell'uomo. È solo facendo memoria ogni giorno di questo che
possiamo resistere, soprattutto in tempi di crisi come questi, con gli
enti locali che ritardano i pagamenti per i tagli alle spese pubbliche
e i finanziamenti che diminuiscono. Quando tutto intorno sembra vacillare,
sei costretto a chiederti cosa tiene in piedi le opere che hai generato.
E, più radicalmente, cosa tiene in piedi la tua vita. Ho imparato questo
modo di guardare l'esistenza nella lunga amicizia con don Giussani e con
la comunità di Comunione e liberazione, e confesso che è questo il mio
unico, vero tesoro.
L'accoglienza non può diventare una professione, non
è appannaggio di famiglie eccezionali o particolarmente generose. È qualcosa
che nasce dal rendersi conto che prima di tutto siamo stati accolti noi
da Cristo, con i nostri limiti, le nostre miserie e la nostra capacità
di amare, limitata e insieme immensa. Lo ha scritto in maniera magistrale
Benedetto XVI nell'enciclica "Deus caritas est": "L'amore-–caritas – sarà
sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c'è nessun ordinamento
statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell'amore"».
Per
questo lo slogan di Ca' Edimar è "accogliere perché c'è". Non servono spiegazioni
sociologiche o analisi politiche, non servono ideologie. L'accoglienza
è un dato che appartiene all'esperienza elementare dell'uomo, e per essere
praticata ha bisogno anzitutto di uomini, prima che di esperti. Di uomini
affascinati dall'incontro con Cristo, oggi.
È per questo che Gianpietro
Cuppoletti, responsabile commerciale di un'azienda di marketing, è venuto
a vivere qui con la moglie e le due piccole figlie in un piccolo appartamento,
lasciando la sua casa di Cuneo. «Chi me l'ha fatto fare? Il fascino di
un'esperienza radicale come quella che Mario Dupuis vive qui. Dalla vita
avevo avuto molto: carriera, soldi, successo. Ma non mi bastava, il mio
cuore cercava di più, desiderava quella totalità che solo Gesù può dare.
Così, quando ho conosciuto Mario e lui mi ha proposto di venire a vivere
a Ca' Edimar, ho percepito che quella totalità era possibile. Ho quasi
cinquant'anni, non posso più perdere tempo in cose che non costruiscono
la mia persona».
Dal 2001 centinaia di adolescenti hanno trovato tra
queste mura un abbraccio che li ha aiutati a ripartire, a riprendere gli
studi, a trovare un lavoro, ad avere uno sguardo buono su un mondo da cui
si erano sentiti traditi o ignorati. Uno di loro, alla fine dell'anno scolastico,
ha scritto su un biglietto: «Mi sento bene quando mi sento qualcuno per
qualcun altro». Per molti di loro, che il padre non l'hanno più o è come
se non l'avessero, Dupuis è come un padre, ma lui è agli antipodi del guru.
«Per qualcuno rubare un motorino è il primo modo per dimostrare che "io
valgo qualcosa". Qui li accompagniamo a scoprire la positività troppe volte
inespressa che portano dentro di sé. Ho visto gente che dopo avere frequentato
la scuola bottega di panificazione ha continuato gli studi e si è iscritta
all'università. La nostra esperienza testimonia che non c'è nessuno che
non sia educabile - dice Dupuis -. Dobbiamo offrire un abbraccio incondizionato,
invece il nostro sistema di formazione è ancora troppo rigido. C'è bisogno
di più flessibilità. Ma soprattutto c'è bisogno della carità».
Ogni sera,
prima di cena, una campana invita a un momento di preghiera nella cappella
per offrire e chiedere a Dio tutto quello che la giornata ha dato. Qualche
ragazzo venendo ad abitare qui ha incontrato la fede. Pochi giorni fa il
vescovo di Padova, Antonio Mattiazzo, ha amministrato la cresima a due
di loro, e al termine della cerimonia ha detto: «Spesso ci si domanda dov'è
il Signore. Quando uno vede opere come questa, si vede che Lui c'è».