Viaggi di carta. Alle origini dei sami, il popolo nascosto dell’Artico
Il viaggio comincia dall’inizio. «In origine Adamo ed Eva avevano diversi figli. I bambini giocavano nella tundra ed erano sempre sporchi di fango. Un giorno Dio venne in visita, ed Eva si vergognò di fargli vedere i suoi figli in quelle condizioni. Gli unici a non essere sporchi erano Caino e Abele. Così Eva mostrò a Dio soltanto loro, e tenne nascosti gli altri. Dio chiese: “Sono dunque questi i tuoi figli?”. Eva risposte di sì. Dio le chiese ancora: “Sono questi soltanto?”. Eva rispose di sì. E Dio disse: “Dunque ciò che è nascosto resterà nascosto. Così nacque il popolo della terra: nascosti alla vista, ma egualmente figli di Dio”». Sono i versi della Genesi secondo i sami, popolo nativo dell’estremo Nord del mondo. Sono loro i nascosti. Ormai ridotti a poco più di ottantamila anime, popolo in gran parte nomade, dedito all’allevamento delle renne, che si muove da sempre libero negli immensi paesaggi artici oggi suddivisi tra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia. La loro terra, naturalmente priva di confini, è il Sápmi.
Alla loro scoperta è andata la fotografa e giornalista Valentina Tamborra: li ha raggiunti, ritratti, interpellati per quattro anni consecutivi, nel corso di altrettanti viaggi, e ha costruito un reportage fotografico e narrativo unico per la forza della voce e delle immagini. Ne ha raccontato la vita, le tradizioni, la resistenza a un lungo processo di integrazione forzata, i problemi quotidiani, legati a un cambiamento climatico che sembra non conoscere sosta e minaccia il loro habitat. «Sono arrivata oltre il Circolo polare artico, nel Finnmark, per ascoltare la storia di chi per troppo tempo non ha avuto voce – scrive Tamborra –. Oggi provo a restituirla attraverso volti, parole, immagini, e non so se riuscirò a farlo nel modo migliore perché parlare delle storie altrui è complesso, ci si sente sempre in qualche modo inadeguati. C’è qualcosa però che mi fa sentire di poterci provare: vengo da un confine io stessa, ho imparato ben presto cosa significa stare ai margini. Ho perso la lingua di mia nonna, lo sloveno, e con la lingua ho perso una parte di me, perché se non sai dirlo forse non esiste o non è mai esistito. Conosco lo strazio di un’identità negata. Conosco la vergogna e la necessità di mentire, nascondere, omettere. E poi conosco il sollievo di guardarsi finalmente allo specchio per la prima volta dopo anni e capire che non servono etichette, non ci sono luoghi giusti e luoghi sbagliati, appartenenze da sbandierare e altre da nascondere. Ci siamo solo noi, con il nostro carico di umanità, di vita, di tutto ciò che siamo stati, siamo e saremo. Ci siamo noi, che non dobbiamo più nasconderci. O almeno così dovrebbe essere».
Il risultato è straordinario. È raccolto in un libro che si intitola proprio I Nascosti, edito da Minimum Fax (pagine 168, euro 35, con la prefazione dello scrittore e saggista statunitense William T. Vollmann): un reportage che lascia il segno, “fissato” e “scritto” con la sensibilità di chi sa muoversi con realtà come Amref, Medici senza Frontiere, Albero della Vita, Emergenza Sorrisi e Croce Rossa Italiana, lungo le pieghe e le piaghe della storia, ai confini, ai margini, fra i nascosti, appunto. Tutti i nascosti che vivono una vita sconosciuta ai più, ma che hanno piccoli-grandi storie da raccontare. Dall’Africa alla Tundra, che «comincia quando non ti aspetti più nulla».
L’incontro di Valentina Tamborra con il popolo sami avviene durante un viaggio stampa in Norvegia, nell’aprile 2019. «Il destino – racconta – mi aveva dato appuntamento in un’anonima stanza di un hotel di Oslo. Capitano incontri che ti cambiano la vita o quantomeno ti spingono verso una direzione inaspettata. Quell’incontro, per me, ha assunto le sembianze di un giovane sami, scelto come fotografo del nostro viaggio. Si chiama Ørjan, vive in uno paesino sperduto oltre il Circolo Polare Artico, Birtavarre. Mi racconta una storia di coraggio e di resistenza: oltre la tundra, oltre la bellezza della natura artica, oltre la meraviglia delle aurore boreali e la visione folkloristica imposta dalle culture “civilizzate”, il popolo sami nasconde un passato di dolore e di violenza». Ad agosto Valentina Tamborra viene accolta da Ørjan in una casetta rossa che guarda il fiordo blu intenso che abbraccia la valle di Manndalen.
Inizia così il viaggio alla scoperta dei “Nascosti”: la “battaglia” con le mandrie di renne, la transumanza, il diritto all’allevamento; il cammino lungo la Route 66 di ghiaccio; la magia delle aurore boreali, le storie narrate e cantate in un “joik”; le leggende e le tradizioni, come quella del Nissetoget, una processione in maschera per raggiungere il fuoco sacro che avviene fra il 31 dicembre e il 1° gennaio, o il Sami Easter Festival, la Pasqua Sami; le case e le tende della tundra; i problemi dei parchi eolici; le ferite del colonialismo e il riscatto, con la storica partecipazione alla Biennale di Venezia nel 2022 con un padiglione che ha fatto sentire la loro voce.
«Credo in Dio, ma accetto l’alternanza tra l’antico e il nuovo», dice Egil, il pastore che ha raccontato la storia della Genesi. Mentre nelle chiese di Karasjok e Kautokeino si dedicano messe alle renne: perché possano nuovamente trovare il cibo, perché possano muoversi libere sui pascoli. Dal loro benessere dipende anche il benessere della gente, il punto di riferimento dell’economia e della stessa identità. «Il futuro è incerto e fa paura» per questo popolo la cui «presenza è sempre stata una spina nel fianco per i cosiddetti popoli evoluti, che non a caso per secoli (e ancora adesso, essendo il termine entrato nell’uso comune) li chiamano lapponi - scrive Tamborra, che dall’1 marzo sarà fra i protagonisti, al Teatro Franco Parenti di Milano, de "I Boreali Nordic Festival", la manifestazione italiana dedicata alla cultura nordeuropea (alle 18, nel foyer alto l’inaugurazione della mostra I nascosti, aperta fino al 5 marzo) -. La parola deriva dallo svedese “lapp”, che sta per “toppa”, a indicare che gli abitanti di queste aree estreme erano considerati pezzenti. I confini stabiliscono l’identità, ma come può un popolo nomade reclamare il proprio diritto all’esistenza quando il suo orizzonte è privo di barriere?». Una risposta la dà Oliva, 95 anni e così tanti figli e nipoti e pronipoti da riempire di fotografie un muro della sua casa di Manndalen. Oliva era una tessitrice, parla solo sami, e se anche conosce il norvegese preferisce non usarlo: «Non penso spesso all’arrivo dei norvegesi: qualunque cosa abbiano fatto, io sono rimasta sempre me stessa». Nascosti, ma autentici. Fino in fondo. Nel profondo Nord, dove «non ti aspetti più nulla».