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Economia. Via al nuovo Def. Al 2,3% il deficit 2017

Nicola Pini mercoledì 28 settembre 2016
Di sicuro c’è un ridimensionamento della crescita del Pil per quest’anno e il prossimo, un aumento del deficit programmatico e un rinvio a tempi migliori della discesa del debito pubblico. La Nota di aggiornamento al Def varato la notte scorsa dal governo prende atto del quadro economico più difficile e prova nuovamente ad assicurarsi tutti i margini di flessibilità previsti dal Patto di stabilità dell’euro. Per i numeri definitivi bisogna attendere però le tabelle del Consiglio dei ministri. Nel nuovo quadro di previsioni il Pil 2016 dovrebbe fermarsi tra lo 0,8 e lo 0,9%, invece dell’1,2 fissato ad aprile. La frenata proseguirà il prossimo anno, con un dato previsto attorno all’1% (era l’1,4%). La minor crescita sarà accompagnata anche da un inevitabile ricalcolo del deficit.  La Commissione precisa che «nessuna cifra è stata concordata» ma sarebbe propensa a concedere all’Italia un aumento dell’indebitamento programmatico, forse fino al 2,3% del Pil nel 2017, tenendo conto anche delle emergenze per il terremoto e l’immigrazione. Palazzo Chigi punta invece a scorporare queste spese (valutate intorno allo 0,4% del Pil) dal Patto di stabilità, una mossa sulla quale Bruxelles non è d’accordo. Il braccio di ferro presumibilmente non si chiuderà con l’ok al Def ma proseguirà nelle prossime settimane durante la preparazione e il varo della legge di bilancio, che va poi validata in sede europea. Se il numero finale sul deficit 2017 fosse davvero quel 2,3% che circolava ieri, il governo potrebbe contare su 8 miliardi in più. In tutto la flessibilità di bilancio spendibile per la manovra salirebbe a una quindicina di miliardi, considerando che in primavera la Ue aveva già accordato un aumento dell’indebitamento dall’1,4/1,5% tendenziale fino all’1,8%. Si tratta però di risorse che serviranno tutte per disinnescare le clausole salva-conti introdotte negli anni passati (anche da questo governo) e che altrimenti farebbero scattare dal gennaio l’aumento delle aliquote Iva. Ne consegue che l’aumento del deficit non basterà a sostenere una manovra stimata nel complesso tra i 23 e i 26 miliardi. Per le varie misure annunciate sul fronte della crescita e dell’equità (pensioni) così come per immigrazione e post- terremoto, serviranno anche altre fonti di copertura. Già annunciato è il secondo round della voluntary disclosure (la regolarizzazione dei capitali nascosti all’estero) che potrebbe portare tra 1,5 e 2 miliardi. Altrettanto arriverebbe da nuove norme anti-evasione, in particolare riguardo ai pagamenti del’Iva. C’è poi il capitolo spending review, sempre maneggiato con cautela da questo governo per il timore di effetti recessivi. Tra attuazione della riforma della Pa (con la riduzione delle partecipate) centralizzazione delle forniture (comprese quelle sanitarie), e stretta sui ministeri potrebbero essere raccolti altri 3 o 4 miliardi. Ieri il premier Matteo Renzi ha assicurato che nella sanità «si è già tagliato anche troppo». Il Fondo sanitario nazionale non dovrebbe essere quindi toccato. Tra minori spese o maggiori entrate si raccoglierebbe una cifra intorno a 8 miliardi . Tutto sommato una 'manovrina' – detratte le cifre destinate a evitare gli aumenti dell’Iva – con la quale è difficile spingere una crescita anemica. Anche la finanziaria 2016 destinò oltre 16 miliardi al disinnesco della clausole ma in tutto valeva circa 30 miliardi. Mentre la prima manovra targata Renzi, quella relativa al 2015, raggiunse i 36 miliardi di euro. Quest’anno resteremmo al di sotto di quelle cifre. Per questo Palazzo Chigi continuerà nelle prossime settimane il pressing su Bruxelles per mantenere almeno una parte delle spese al di fuori dei conteggi del Patto di stabilità e ritoccare verso l’alto il deficit di fatto. Ma mentre il debito pubblico non ha ancora iniziato la parabola discendente promessa, pare difficile che anche il deficit torni a salire (rispetto al 2,5% di quest’anno) con l’avallo della Ue.