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Comece. I vescovi europei contro il Parlamento Ue: «L'aborto non è un diritto»

Andrea Galli venerdì 10 giugno 2022

Padre Manuel Enrique Barrios Prieto, segretario della Comece

Il voto di ieri non ha lasciato indifferente la Comece, la Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità Europea, che ha peraltro tra i propri scopi quello di monitorare la politica e la legislazione dell’Unione Europea. La dichiarazione ufficiale è arrivata anzi con un giorno di anticipo, mercoledì, a firma del segretario generale dell’organizzazione, il sacerdote spagnolo Manuel Enrique Barrios Prieto. E con toni inusitatamente duri, a partire dall’incipit che rileva una «interferenza inaccettabile nelle decisioni giurisdizionali democratiche di uno Stato sovrano, un Paese che non è nemmeno uno Stato membro dell’Ue», ovviamente sottintendendo gli Stati Uniti e il possibile rovesciamento della sentenza Roe vs Wade a opera della Corte suprema. E sottolineando che «l’adozione di una risoluzione del Parlamento Europeo che avalla questa interferenza non farà altro che screditare questa istituzione».

La Comece ribadisce che «da un punto di vista giuridico non esiste un diritto all’aborto riconosciuto nel diritto europeo o internazionale. Pertanto, nessuno Stato può essere obbligato a legalizzare l’aborto, o a facilitarlo, o ad essere strumentale per praticarlo». E la Ue in particolare deve ricordare che, in base all’articolo 5 del trattato sull’Unione Europea, può agire solo nei limiti delle competenze che le sono state conferite dagli Stati membri. La Comece ricorda che già lo scorso febbraio aveva dichiarato che introdurre un presunto diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sarebbe stato «privo di fondamento etico» e «causa di conflitto perpetuo tra i cittadini dell’Ue».

«Notiamo inoltre con grande preoccupazione e rammarico – continua il comunicato di mercoledì della Comece – la negazione del diritto fondamentale all’obiezione di coscienza, che è un’emanazione della libertà di coscienza, come dichiarato dall’articolo 10.1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e riconosciuto dal Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite».

E «siamo allarmati dal fatto che il diritto delle istituzioni sanitarie di rifiutarsi di fornire determinati servizi, tra cui l’aborto, sia indebolito o addirittura negato. Come affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella Risoluzione 1763 (2010) sul diritto all’obiezione di coscienza nelle cure mediche legali, “nessuna persona, ospedale o istituzione potrà essere costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa del rifiuto di praticare, accogliere, assistere o sottoporsi a un aborto, all’esecuzione di un aborto umano [...] o a qualsiasi atto che possa causare la morte di un feto o di un embrione umano, per qualsiasi motivo”».

La Comece ricorda che «prendersi cura delle donne che si trovano in una situazione difficile o conflittuale a causa della loro gravidanza è una parte centrale del ministero diaconale della Chiesa», se mai qualcuno pensasse che non sia così, ma ricorda pure che ciò «deve essere un dovere esercitato anche dalle nostre società. Le donne in difficoltà non devono essere lasciate sole, né si può ignorare il diritto alla vita del nascituro. Entrambi devono ricevere tutto l’aiuto e l’assistenza necessaria».