Afghanistan. Nel Paese senza donne, dove l'unico modo di esistere è scomparire
Con questa e decine di altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire fino all'8 marzo daranno voce alle bambine, ragazze e donne afghane (QUI TUTTI GLI ARTICOLI). I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l'università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l'appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE
«Non ci sarà alcuna discriminazione contro le donne, ma ovviamente all’interno delle strutture che abbiamo». A pronunciare queste parole di fronte ai giornalisti invitati al Media Center di Kabul, il 17 agosto 2021, è Zabihullah Mujahid, portavoce dei nuovi signori dell’Afghanistan, i taleban. Sono trascorse meno di 48 ore da quando gli ex studenti coranici sono entrati nella capitale. Il mondo, ancora stordito dalla fulminea avanzata, vorrebbe credere alla “svolta moderata” dell’Emirato appena costituito. Ma c’è qualcosa di ambiguo nella frase di Zabihullah Mujahid che lascia l’opinione pubblica con il fiato sospeso.
Il suo autentico significato inizierà a svelarsi tre mesi dopo con le linee guida per la tv: le serie con attrici sono bandite mentre le conduttrici sono “invitate” a coprire il volto. Il 26 dicembre 2021, il ministero per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio impedisce alle donne di viaggiare da sole: oltre i 72 chilometri dovranno essere accompagnate da un parente uomo. A sancire, però, la cancellazione delle donne dalla vita sociale pubblica è la nota del 23 marzo 2022. Quel giorno, gli studenti – maschi e femmine – sarebbero dovuti tornare tra i banchi dopo uno stop di sei mesi dovuto al cambio della guardia. Appena entrato in classe, però, un milione di allieve degli istituti medi e superiori viene rimandato a casa. «Informiamo tutte le scuole superiore femminili e quelle scuole che hanno studentesse sopra la sesta classe che resteranno chiuse fino a nuovo ordine». Più che il testo – stringato – è il sottotesto ad essere cruciale. Il divieto all’istruzione femminile post-elementare è frutto di una battaglia feroce all’interno della leadership dell’Emirato, come sostengono fonti ben informate. L’ala civile, facente capo al potente ministro dell’Interno, Sirajjudin Haqqani, era favorevole a mandare le ragazze in aula, se non per convinzione almeno per compiacere la comunità internazionale. Un compromesso inaccettabile, però, per il “gruppo di Kandahar”, culla del movimento negli anni Novanta. Proprio da là è partito l’ordine di rispedire le allieve a casa. A emanarlo l’emiro in persona, Hibatullah Akhundzada, che ha fatto valere la sua autorità spirituale di capo dei credenti.
Il resto dei taleban – governo incluso, in cui l’emiro non ha un incarico formale – ha dovuto cedere in nome dell’obbedienza dovuta al leader supremo. La nota del 23 marzo rappresenta, dunque, la vittoria di Kandahar su Kabul. E del suo zoccolo duro, frutto avvelenato della guerra in atto da 44 anni. È stato il conflitto, come scrive il giornalista pachistano Ahmed Rashid, a depositare i taleban come un relitto sulla spiaggia della storia. Ex bambini orfani di padri e affidati dalle madri, per farli sopravvivere, alle madrasse. Là, lontano dalle figure femminili che popolano la tradizionale società pashtun, sono stati allevati in una misoginia che poco c’entra con l’islam. Così è nato il “modello Kandahar” che ora i taleban stanno imponendo al resto della nazione.
Per comprendere che cosa significhi è necessario inoltrarsi della capitale spirituale dell’Emirato, la “città senza donne”. Quasi impossibile incontrarle mentre camminano sulle sue vie di pietra: lo spazio pubblico è loro precluso. Strade, parchi, perfino i mercati, sono territorio maschile. In quest’ottica, si inseriscono le ultime decisioni che hanno espulso le donne – a cui era stato concesso almeno di terminare le facoltà già iniziate - dalle università. E il divieto di lavorare per le Ong, fatta eccezione per lo staff Onu e quante svolgono mansioni sanitarie. Seppure con questa deroga, la misura pone un problema enorme alle stesse organizzazioni. Alcune sono state costrette a chiudere i lavori perché senza donne non possono operare nell’assistenza. Altre l’hanno fatto in segno di protesta. Altre ancora hanno scelto di restare e combattono con mille problemi pur di non abbandonare gli afghani. Nonostante il coro di critiche degli altri principali Paesi islamici, i taleban tirano dritto sulle donne. Come a Kandahar, non c’è posto per loro nel tessuto civile. L’unico modo concesso loro per esistere è scomparire.