Attualità

INDAGINI. P3, Verdini attacca: «Fini mi doveva tutelare»

Marco Iasevoli mercoledì 28 luglio 2010
Contro Fini e Bocchino, mente e braccio di quella minoranza interna che non l’ha difeso, che ne ha chiesto le dimissioni, «che non ha i titoli politici per parlare di legalità». Contro i «due pesi e due misure delle 3P», ovvero le tre procure - Roma, Firenze, L’Aquila - che indagano su di lui, rovesciamento in chiave ironica della P3 di cui è accusato di far parte. Contro Mancino, il vicepresidente del Csm «che parla con il compaesano Lombardi - in carcere per associazione segreta con Carboni e Martino - e poi conduce le epurazioni» dei magistrati accostati alla loggia. Ne ha per tutti Denis Verdini. Spiega e attacca, stempera e si agita, segue un filo e apre mille parentesi. Cercando di ricordare i tre obiettivi per cui ha convocato la stampa: giurare «sull’onore» che «la mia è l’unica verità, non c’entro nulla con questa P3», ribadire che quella della loggia segreta è un’ipotesi «ridicola e usata in modo pericoloso per la democrazia», scandire che «non c’è alcun motivo per dimettersi» dal coordinamento del Pdl.Sul palchetto piazzato nel giardino di via dell’Umiltà, l’addetto stampa gli passa le agenzie in tempo reale. Ne arriva una particolare, inforca gli occhiali, legge e rilegge. Bocchino sostiene che «Verdini non é più in condizioni, anche psicologiche, di fare il coordinatore del Pdl». Replica immediata: «E lui non è nelle condizioni politiche di fare la morale sulla legalità». L’occasione è ghiotta per ricordare come il partito fece scudo quando lo stesso Bocchino si trovò nei panni dell’indagato. «Ha perso la lucidità – risponde a distanza il finiano –, sono cose mai accadute, accetterò le sue scuse». Da Bocchino a Fini il passo è breve: «È stato sgarbato – riprende Verdini –, mi ha attaccato mentre stavo sostenendo l’interrogatorio».Poi riprende il discorso sull’inchiesta. Punto primo, il pranzo del 23 settembre nella sua dimora romana. «Il tema era il candidato in Campania, questo è il mio lavoro». Gli presentarono Arcibaldo Miller, capoispettore alla Giustizia, che non accettò. «Non conoscevo Martino e Lombardi – sottolinea Verdini –, poi li ho rivisti un’altra volta in cui mi presentarono Lettieri», altro nome per palazzo Santa Lucia. Conosceva però Dell’Utri, che considera «un vero amico, e io non scarico gli amici» (il riferimento è ad alcuni stralci di interrogatorio apparsi ieri sui giornali). Quanto al dossier ordito contro Caldoro, «me lo presentò Ernesto Sica - politico salernitano -, che voleva candidarsi a governatore. Sono orgoglioso di averlo liquidato». In quel pranzo si parlò anche del voto della Consulta sul lodo Alfano: «Se ne discuteva ovunque, ma io non ho agito per influenzare i giudici».Il tema più delicato è un altro: i rapporti con Carboni, che interviene con 2,6 milioni di euro per sostenere il Giornale di Toscana, del quale Verdini è «l’anima» (ne furono versati 800mila). «Anche il principe Caracciolo, editore de L’Espresso, nel 2008 ha pranzato con lui. Chiedo lo stesso peso e la stessa misura». Il coordinatore Pdl ammette di aver «favorito un contatto» tra l’imprenditore - interessato ad affari nell’eolico - e il governatore Cappellacci, e di essersi «informato» sulla nomina di Ignazio Farris (nome gradito a Carboni) al vertice dell’Arpa isolana. «Ma io dell’eolico non capisco nulla, e riguardo al giornale non ho messo nulla in tasca, anzi ho perso oltre 4 milioni». Coda polemica: l’ultrà berlusconiano Stracquadanio e Giuliano Ferrara attaccano la giornalista de L’Unità Claudia Fusani. Intanto Formigoni fa sapere: sarò a Roma lunedì per deporre davanti ai giudici sulla P3, in qualità di testimone.