Gravi carenze degli organi aziendali, con accentramento dei poteri nelle mani dell'allora presidente Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl; potenziale conflitto di interesse dello stesso Verdini con la Banca per affidamenti per oltre 60 milioni di euro; impieghi spesso a rischio, concentrati su grandi clienti, in contrasto con gli obiettivi mutualistici dell'istituto. Sono queste le linee essenziali della delibera 553 del 20 luglio scorso della Banca d'Italia, che porta la firma del Governatore Mario Draghi inviata al ministro dell'Economia Giulio Tremonti e alla segreteria del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr), con la quale è stata proposta, e poi disposta con decreto del 27 luglio dello stesso Tremonti, l'amministrazione straordinaria del Credito cooperativo fiorentino (Ccf), la banca finita anche nell'inchiesta sulla cosiddetta P3. La Banca d'Italia ha anche evidenziato scarsa istruttoria per finanziamenti talvolta con finalità sospette; e tardiva applicazione delle norme antiriciclaggio. Ciononostante, il patrimonio del Credito fiorentino è risultato ancora sufficiente, anche se con l'eccedenza in progressiva erosione.Gli accertamenti ispettivi condotti dal 25 febbraio al 21 maggio scorsi hanno evidenziato un esecutivo della banca «scarsamente autorevole» e un collegio sindacale «privo di sufficiente indipendenza». Il governo societario è risultato «totalmente accentrato» nelle mani del presidente Denis Verdini. Indagato in diverse sedi giudiziarie in relazioni a ipotesi di corruzione e riciclaggio, Verdini, sempre secondo Bankitalia, «ha omesso di fornire piena informativa, ai sensi dell'articolo 2391 del Codice civile, circa la sussistenza di propri interessi potenzialmente in conflitto con quelli della banca, per affidamenti complessivamente ammontanti a euro 60,5 milioni», riconducibili ad iniziative editoriali e immobiliari.Sono diverse le anomalie e le irregolarità rilevate dagli 007 della Vigilanza. Sono stati giudicati «inadeguati» l'esame preventivo e la successiva gestione dei finanziamenti (uno dei quali ad una società facente capo a Verdini) accordati per preliminari di acquisto di immobili o di partecipazioni, la cui compravendita non è stata poi perfezionata. Inoltre - secondo gli ispettori - sono stati accordati fidi, per quasi sei milioni di euro, non assistiti da garanzia, a soggetti legati da rapporti di lavoro o di affari con la Bpt (riconducibile al gruppo Fusi-Bartolomei) per finanziare un'operazione sospetta di acquisto di appartamenti da una società controllata dalla stessa Bpt. Infine, sono stati concessi finanziamenti ad alcune cooperative edilizie, di fatto utilizzati, attraverso articolati trasferimenti finanziari, per favorire il rientro di una società affidata dall'istituto fiorentino e in stato di difficoltà.Per quanto esistesse una elaborazione trimestrale in materia antiriciclaggio, al Credito fiorentino le procedure corrette - secondo Bankitalia - sono state di fatto avviate «solo agli inizi del 2010. Prive di approfondimento - scrive l'Istituto di Vigilanza - sono rimaste talune operazioni volte ad effettuare, con modalità anomale e in assenza di registrazioni nell'Archivio Unico Informatico, il trasferimento di un importo di 500mila euro in favore di due clienti classificati a sofferenza», uno dei quali sottoposto aindagini per riciclaggio. Inoltre, «solo nel corso degli accertamenti ispettivi» e in seguito all'avvio di indagini giudiziarie, il Credito cooperativo fiorentino «ha provveduto a segnalare i versamenti per complessivi 800mila euro in favore di una delle società editoriali riconducibili al dott. Verdini, effettuati nel periodo giugno-dicembre 2009 da soggetti non conosciuti, interessati in iniziative economiche di dimensioni modeste o da tempo cessate». Verdini, interrogato dai pm di Roma e durante una conferenza stampa, ha sostenuto che quel versamento di 800mila euro rientrava in un'operazione da 2,6 milioni di aumento di capitale del
Giornale della Toscana.Nonostante dall'ispezione sia emerso «un grave deterioramento della qualità del portafoglio crediti», il patrimonio del Credito cooperativo fiorentino è risultato «ancora sufficiente a garantire i requisiti prudenziali minimi», anche se si registra una «progressiva erosione dell'eccedenza, dovuta alle perdite registrate sugli impieghi e alla costante crescita dell'attivo a rischio». Tale eccedenza è stata valutata dagli ispettori di Bankitalia di «soli 2,9 milioni di euro». Non la situazione patrimoniale, dunque, ha indotto Bankitalia a chiedere il commissariamento del Credito cooperativo fiorentino, ma la gravità delle violazioni normative e delle irregolarità, che hanno determinato un «progressivo deterioramento dei profili tecnici della banca, compromettendone la capacità reddituale e riducendone i margini patrimoniali, a fronte dei livelli crescenti di rischiosità dell'attività condotta».
LA DIFESA DI VERDINI«In merito alle notizie di agenzia sulle contestazioni di Bankitalia dopo l'ispezione al Ccf», scrive l'ex presidente del Credito cooperativo fiorentino, «rilevo che si tratta dell'inizio di un provvedimentoamministrativo al quale risponderò puntualmente e adeguatamente nei termini previsti dalla legge». Dopo aver negato l'esistenza di un «potenziale conflitto di interessi», Verdini sottolinea come nella «delibera degli ispettori non vi sia traccia alcuna delle infamanti ipotesi uscite sulla stampa nei mesi scorsi, tese a individuare nel Ccf un crocevia di tangenti e di malaffare». «Come ho già spiegato ai magistrati - conclude il coordinatore del Pdl -, da tempo non ho rapporti in società operative con l'imprenditore Riccardo Fusi, e i crediti erogati alla Btp sono sempre stati pienamente garantiti. Respingo dunque con fermezza sia le contestazioni sul conflitto d'interessi che quelle relative ad inesistenti operazioni anomale».