Ventimiglia. La terza estate di emergenza sulla frontiera dimenticata
I migranti accampati sugli scogli di Ventimiglia l'anno scorso
Camminano lungo il viadotto dell’autostrada, saltano sul treno, di notte, approfittando del buio o si inerpicano lungo il sentiero che porta al "Passo della morte". Il nome dà l’idea della pericolosità. Vogliono sconfinare in Francia. Sono i migranti di passaggio di Ventimiglia. Una città di confine in prima linea con i continui flussi di arrivi.
La carica dei 25mila. E le barriere della Francia
«Stiamo iniziando la terza estate e c’è ancora chi parla di emergenza». Maurizio Marmo non si perde d’animo e tra una riunione in Comune, un vertice in Prefettura, un sopralluogo al Parco Roja e la distribuzione dei viveri alla parrocchia delle Gianchette si prepara ad affrontare per il terzo anno consecutivo la stagione calda. Non solo per le temperature. «Dal 14 giugno 2015, quando la Francia ha chiuso la frontiera abbiamo accolto migliaia di migranti» aggiunge il direttore di Caritas Ventimiglia-Sanremo che stasera alla processione di chiusura del mese mariano ricorderà l’impegno continuo. «L’anno scorso abbiamo dato da mangiare e da dormire a circa 15mila persone e altrettanto ha fatto la Croce Rossa al Parco Roja. Pensiamo che solo nel 2016 siano passati da Ventimiglia almeno 20-25mila migranti».
Numeri importanti e difficili se si considera che la città ligure di confine conta circa 27mila abitanti. È come se la città si fosse ripopolata due volte. Un destino beffardo: prima la ’ndrangheta (il Comune è stato sciolto nel 2012) poi il lavoro che manca un po’ per tutti, la difficoltà di tirare avanti prendendo ogni giorno il treno per andare a Mentone, a Cannes o a Nizza e trovare lavoro oltre frontiera, dove le strade sono linde, i pensionati abbronzati passeggiano con le badanti e non c’è aria di flussi migratori perché qui la Gendarmerie non fa sconti. Il migrante è riconoscibilissimo perché ha la pelle nera e non riesce neanche a raggiungere Mentone. Se cerca di passare la frontiera col treno viene fatto scendere a Garavand (a poche centinaia di metri dall’Italia) e da lì fatto risalire sul primo convoglio di ritorno.
La Caritas: «Ci rimandano indietro anche i minori»
«Questo è il vero problema – prosegue Marmo –. I francesi fanno un po’ quello che vogliono e rimandano indietro anche i minorenni che non potrebbero». Di minorenni alle Gianchette, il quartiere "cuore" dell’accoglienza dove c’è la parrocchia di Sant’Antonio, ce n’è a centinaia. Sono gli "invisibili": molti di quei 25mila minori non accompagnati arrivati nel 2016 e poi scomparsi. Passano da qui. Alcuni entrano in parrocchia, dove Sandro, 75 anni ma con l’energia di un 20enne, il cuoco amico del "don" spadella pasti senza sosta. «L’anno scorso don Rito mi ha telefonato e mi ha detto Sandro vieni a cucinare per una decina di profughi – racconta –. Il primo pasto era per 70 e poi siamo andati avanti e ho perso il conto». Altri hanno paura e rimangono a dormire e a lavarsi lungo il fiume Roja, aspettando il momento giusto per passare in Francia. Altri trovano rifugio al Parco Roja, il centro allestito dalla prefettura e gestito dalla Croce Rossa. Attualmente ne ospita 279. La capienza massima è 300. Ma, proprio un vertice in prefettura, settimana scorsa, ha deliberato l’ampliamento dell’area: arriveranno altri moduli abitativi per complessivi 360 posti letto. Eppure i numeri, hanno insegnato questi ultimi due anni, a Ventimiglia sono ben altri.
Il sindaco-surfista: «Facciamo quello che possiamo»
«Più che gestire gli arrivi non possiamo fare altro – ammette il giovane sindaco del Pd, Enrico Ioculano – e fino a quando ci sono gli sbarchi è evidente che poi passano di qui». A soli 32 anni, uno dei più giovani primi cittadini d’Italia si è ritrovato a gestire situazioni a volte anche drammatiche, come i migranti sugli scogli, due estati fa, quelli caduti nel fiume o morti lungo la ferrovia e l’autostrada. Una decina in tutto l’anno scorso. Fra la popolazione che insorge quando i numeri diventano difficili e la necessità di offrire un’accoglienza adeguata e dignitosa ai disperati che hanno il solo desiderio di proseguire il viaggio verso il nord Europa. Il sindaco-surfista vorrebbe chiudere l’accoglienza della parrocchia delle Gianchette (dove sono soprattutto famiglie e minori non accompagnati) per fermare l’andirivieni e concentrare tutto al Parco Roja. In quel quartiere la popolazione si sente insicura ed è impaurita. Anche se non si sono mai verificati problemi di sicurezza. La diocesi propone di acquisire e ristrutturare un edificio e lì accogliere i più fragili. Ma mancano i soldi. E la burocrazia è molto più lenta dei flussi migratori. Intanto Abdellah, che ha 22 anni e viene dal Sudan, alla parrocchia delle Gianchette impara l’italiano con la volontaria Fulvia. Lui vuole rimanere in Italia.
Il vescovo Suetta: «I muri? Foraggiano l'illegalità»
«Le notizie che riceviamo non fanno ben sperare, l’incremento di minori non accompagnati ci preoccupa ed è il problema più serio». Il vescovo di Ventimiglia-Sanremo, Antonio Suetta pensa all’estate alle porte. Sono le categorie più fragili, le famiglie con bambini ma anche e soprattutto i minori non accompagnati a preoccupare l’enorme macchina dell’accoglienza messa in campo dalla Diocesi e dalla Caritas. Suetta conferma la piena collaborazione con le istituzioni locali: un ascolto e una collaborazione reciproca, e anche «una certa comunione di vedute e di lettura del fenomeno». Il problema è più «strutturale e le carenze sono molte». «Mi preoccupa la chiusura ostinata, prolungata e per molti aspetti incomprensibile della Francia – ammette Suetta – ma anche l’incapacità di programmazione. In due anni forse potevano essere perlomeno studiate o abbozzate delle migliori strutture di accoglienza».
Il mondo occidentale è eccessivamente lento ad affrontare il momento. «Le persone che arrivano qui non vogliono rimanere e l’unica risposta che possiamo dare è quella di preoccuparci dei loro bisogni più immediati, cibo vestiti e orientamento dal punto di vista umano, incoraggiamento, solidarietà e accoglienza». «Questa città si è rivelata veramente una città di confine e di vocazione – prosegue Suetta – perché è una città che fa certamente più di quello che sarebbe ragionevole pensare in termini di accoglienza e anche in termini di pace perché quella minima integrazione che la situazione lo consente di fatto avviene». Ma la chiusura ostinata dei muri sta foraggiando l’illegalità. «Se noi contiamo che l’anno scorso sono più di 40mila le persone che sono arrivate qui e un migliaio sono ancora qui che girano mentre duemila sono stati trasferiti, gli altri dove sono andati? Se sono passati numeri così elevati vuol dire che c’è una sorta di meccanismo illegale che lo consente. Questa chiusura non sortisce l’effetto che vorrebbe e diventa indirettamente un foraggiamento di meccanismi ingiusti».