Governo verso la crisi. M5S non voterà fiducia in Senato. Draghi oggi sale al Colle
Anche il 'governo dei migliori' ha vissuto la sua giornata più lunga, fra riunioni a raffica e colpi di scena. A un passo davvero dalla crisi, il presidente pentastellato Giuseppe Conte e il premier Mario Draghi hanno avuto ieri, mercoledì, un nuovo contatto, telefonico, ma - dopo un breve spiraglio - a sera sono tornate lunghe ombre sul voto di fiducia oggi al 'decreto Aiuti' e, quindi, sulle sorti dell’esecutivo. Conte, che già martedì aveva voluto scorgere un’apertura nella conferenza stampa del presidente del Consiglio, per tutto il giorno ha cercato di convincere i suoi, fra i quali resiste tuttavia una componente 'barricadera' molto forte, disposta a tutto a questo punto, a partire dal non voto sulla fiducia. In presenza del quale oggi Draghi è pronto, dopo la votazione, a salire al Quirinale per riferire al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
A cadenzare la giornata, sono stati anche gli interventi di due altri 'attori': Enrico Letta e Matteo Salvini, curiosamente stavolta (in apparenza) sullo stesso fronte, quello del 'con la mossa anti-Draghi dei 5 stelle si va subito al voto». I due non hanno fatto altro che cementare la linea che il giorno prima era stata ribadita con chiarezza dall’ex capo della Bce, che non vuole sentirsi delegittimato e, nel caso di un’uscita dall’aula dei senatori grillini, sarebbe pronto a trarne le conseguenze perché «non esiste il governo senza M5s e non esiste un Draghi-bis». Il primo a tentare di spegnere le 'velleità' pentastellate è stato, poco dopo le 10 di mattina (a Consiglio nazionale dei 5s in corso), il leader leghista: «Se M5s fa una scelta, parola agli elettori. Meglio far votare gli italiani che far passare loro 9 mesi sulle montagne russe. Non vedo l’ora che possano tornare a dire la loro», le parole di Salvini. È lo spettro delle elezioni anticipate che si materializza e che sparge altro sale sulle ferite di una maggioranza che, in ogni caso, da questa vicenda ne esce ormai stremata. All’ora di pranzo, dopo aver riunito a Montecitorio i suoi parlamentari, lo conferma pure Letta: «Non è che se per ripicca M5s fa cadere il governo non si va al voto. È nelle cose, lo hanno detto pure Salvini e Berlusconi: il governo ha bisogno di una maggioranza compatta». Il Pd e la Lega, insomma, mettono a verbale che qualsiasi strappo segnerebbe la fine dell’esperienza a Palazzo Chigi. E si andrebbe avvertono Salvini e Letta - dritti verso nuove elezioni. Il clima resta tesissimo. Non sono bastate le promesse di un nuovo patto sociale e di nuove misure contro i bassi salari a convincere del tutto il Movimento e il partito resta diviso e incerto: confermare il proprio sostegno al governo, astenersi o uscire dall’aula sancendo la rottura. Sono le premesse che portano Conte all’altro episodiochiave della giornata: prende il telefono e chiama Palazzo Chigi.
I due si parlano: senza un appoggio chiaro, avrebbe ribadito Draghi al capo dei 5s, l’esperienza del governo sarebbe finita, tanto più che su gran parte dei 9 punti dell’agenda a 5 stelle il premier ha dichiarato di registrare «convergenze ». Si prova a capire quali altri spiragli ci siano di mediazione. «Farò quello che posso», avrebbe aggiunto Conte al termine del colloquio, secondo quanto riferito in ambienti parlamentari. Ma le pressioni esercitate su di lui arrivano anche da fuori. Il segretario del Pd indica una «svolta» nell’azione del governo, «metterlo a rischio ora sarebbe paradossale», dice. E il sospetto dei dem è che ormai questo sia anche l’obiettivo del centrodestra. Lo dice chiaramente Giuseppe Provenzano, il vice segretario: «Stanno provando a cogliere l’attimo, ai 5s chiediamo di non fargli questo regalo».
La situazione è davvero ingarbugliata. Perché nella Lega, al di là di Salvini, i governatori Luca Zaia ( Veneto) e Attilio Fontana (Lombardia), arrivati a Roma per incontrare proprio Draghi sulle Olimpiadi invernali, insistono invece sulla continuità. «Se si può andare avanti anche senza M5s? Giro la domanda a Mattarella », afferma Zaia. Una posizione che è vicina a quella di Fi, dove prima Silvio Berlusconi e poi Antonio Tajani si dicono convinti che anche senza il M5s «i numeri ci siano per continuare». Ma quello che «non può esserci - aggiungono - è un altro presidente del Consiglio». E a tarda sera la Lega fa filtrare l’ultimo avviso: se i 5s escono oggi dall’aula, la maggioranza non c’è più.