Covid. Vaccini ai più fragili (e morti azzerati). Il modello Israele che ci servirebbe
Una giovane donna viene vaccinata in un centro medico di Gerusalemme, in Israele
Ospedali che si svuotano, calo repentino dei morti (ieri otto e tutti tra i non vaccinati), contagio a picco. E’ quanto accade nel “laboratorio Israele”, il Paese cui tutto il mondo guarda per vedere gli effetti del vaccino anti Covid distribuito a tappeto. “Da una settimana la vita è riesplosa”, racconta da Gerusalemme Daniel Sher, pediatra e per anni farmacologo negli Stati Uniti e in Italia, ex presidente della Società Italiana di Farmacologia applicata, fondatore della American Academy of Italian Scientistis. “Per festeggiare, mercoledì sera dopo un anno sono tornato a teatro al concerto della Jerusalem Symphony Orchestra. Certo, continuiamo a evitare i luoghi affollati e teniamo sempre la mascherina, almeno finché non saranno vaccinati tutti, ma vuoi mettere? Negozi, ristoranti, palestre stanno riaprendo e a noi sembra di rinascere”. Anche l’Italia guarda a Tel Aviv per capire come tornare alla normalità, per questo la Fondazione Ivo de Carneri (26 anni di progetti di cooperazione internazionale) ha messo a confronto gli esperti dei due Paesi nell’incontro Dalla teoria alla pratica: Israele e Italia, dialogo tra due esperienze, una riflessione concreta su come uscirne anche noi…
Daniel Sher - .
E’ un ottimismo responsabile, quello dei medici israeliani, sanno che non è finita, su 9 milioni e 200mila abitanti ne hanno immunizzati 5 e mezzo (come se in Italia fossimo a 38 milioni anziché a meno di 3…), ma i fatti parlano già chiaro: “La campagna vaccinale è partita la sera del 19 dicembre e a fine gennaio i risultati erano evidenti. I vaccini anti Covid preservano al 100% dalla malattia grave e al 95% anche dal contagio. E quel 5% che si dovesse infettare avrebbe una carica virale così bassa da non contagiare gli altri”. Chiare le evidenze anche con le varianti, “dato che ormai anche la fascia dei ventenni è vaccinata al 72%”. Insomma, se a gennaio i contagi erano 10mila al giorno, ora sono 600 e la curva scende sempre più, nonostante in Israele il lockdown abbia fatto acqua da tutte le parti. Lampante la sintesi: “Da febbraio, gli unici che si ammalano sono i non vaccinati”, cioè i giovanissimi e la minoranza negazionista/no vax.
Il primo segreto sta in una campagna organizzata quando ancora un vaccino non esisteva. “Già a settembre le autorità sanitarie avevano pianificato le fasce di priorità”, spiega il professor Baroukh Assael, ebreo nato in Egitto, per 16 anni docente di pediatria all’Università di Milano, dove ancora vive, e da 30 anni responsabile scientifico del Giornale della vaccinazione (Minerva Medica), “e quando a novembre è arrivata la notizia incredibile che un vaccino era davvero stato scoperto, il governo israeliano non si è chiesto come partire, ha applicato il programma. Senza i gravi errori in corso qui in Italia”. La cosa più urgente, infatti, è proteggere subito il personale sanitario e i vulnerabili, che si ammalano in modo grave e saturano gli ospedali, “ma mentre in Israele gli over 100, 90, 80 e 70 erano tutti vaccinati in pochi giorni, qui in Italia le Regioni hanno dato la priorità a notai, magistrati o al personale amministrativo degli ospedali” anziché a malati oncologici, disabili o badanti. Ancora oggi da noi gli anziani protetti sono una minoranza (la maglia nera va alla Sardegna, in data 27 marzo) e i malati di gravi patologie restano in attesa... “Che senso ha aver vaccinato al posto loro i docenti universitari, con le università chiuse?”. Una follia che è all’origine del mezzo migliaio di morti al giorno, delle terapie intensive che scoppiano e di un contagio tuttora a cinque cifre.
Baroukh Assael - .
Il giro di vite impresso dal premier Draghi, dunque, va nella giusta direzione, ma l’ostacolo per noi è il reperimento di vaccini, di qualsiasi tipo tra i quattro attualmente autorizzati dall’Ema. Un problema che Israele non ha avuto, perché Pfizer ha puntato sul Paese come “laboratorio” esclusivo: “L’azienda cercava una popolazione di ridotte dimensioni per condurre un esperimento di massa. Aveva valutato anche Svizzera, Emirati Arabi, Belgio, ma ha scelto noi – precisa da Gerusalemme il dottor Sher – per la nostra organizzazione e la capacità tecnologica di registrare milioni di dati. Così noi tutti, ebrei e arabi, abbiamo ricevuto solo Pfizer”. La distribuzione, poi, è avvenuta 24 ore al giorno e ovunque, anche agli angoli delle strade, dove sostano pronte le auto della Stella di Davide Rossa (la nostra Croce Rossa). L’obiettivo, nostro e loro, era la copertura del 75% della popolazione dai 16 anni in su (limite minimo di età secondo i protocolli) e Israele lo ha praticamente raggiunto, primo Paese al mondo: “Loro hanno dato ogni giorno in media 130mila somministrazioni (pari all’1,5% della popolazione, con picchi del 2%), noi in Italia siamo fermi allo 0,3% al giorno, non so se più per la mancanza di dosi o per la disorganizzazione imbarazzante di certe Regioni, basti pensare alla Lombardia ora costretta a cercare per telefono gli anziani rimasti indietro. O acceleriamo o saremo costretti a continui lockdown”, ammette a malincuore Assael. Lockdown che da solo non risolve niente, testimonia Francesca Levi Schaffer, immunologa all’Università Ebraica di Gerusalemme: “Da noi non è stato rispettato, soprattutto dagli ultra ortodossi ebrei e da parte della popolazione araba, che infatti hanno pagato il prezzo più alto in vite umane. Eppure nonostante assembramenti, carnevale ebraico e movide, non appena il 20% della popolazione era vaccinato con due dosi il contagio si è fermato”.
Francesca Levi Schaffer - .
Ma quanto costa in termini economici un piano così capillare? Ogni dose di vaccino 16 euro, riprende il dottor Sher, “dunque per i 10 milioni di dosi fatte abbiamo speso 160 milioni, il costo di due giorni di lockdown totale”. Significa che con una spesa pari a quanto una nazione perde con due giorni di chiusure, si sono pagati l’intera campagna vaccinale, “un buon investimento, direi”.
Ma il “laboratorio Israele” è un modello esportabile a casa nostra, con dosi che arrivano col contagocce? No, secondo un esperto in materia da 30 anni come il professor Assael, “per rincorrere Gerusalemme dovremmo fare 900mila profilassi al giorno e nei disegni di Draghi il traguardo, ancora lontano, sarebbe di farne 500mila”. Più realistico allora guardare al modello inglese: vaccinare subito più persone possibile con una sola dose, che sia Pfizer, Moderna, AstraZeneca o Johnson&Johnson, e solo dopo tre mesi dare la seconda.
“Ci vuole coraggio, si tratta di prendere decisioni che escono dai protocolli scientifici – spiega –, ma i Paesi che lo stanno facendo hanno abbattuto i casi gravi e i ricoveri, l’Italia con 12mila morti al mese non può più aspettare”. Dal punto di vista immunitario, assicura, posticipare la seconda dose non è un problema, ma in quei tre mesi la protezione è ridotta, dunque occorre contemporaneamente mantenere misure di contenimento efficaci e controlli seri. “Non a caso nel Regno Unito, dove i risultati della campagna vaccinale sono ancora più eclatanti che in Israele e i decessi quasi a zero, le attività riapriranno con molta gradualità”. Al punto che Londra, per non perdere il grande vantaggio acquisito, ha appena vietato di uscire ed entrare nel Paese, pena multe da 6.000 euro. Quando anche noi saremo così avanti, irrinunciabile sarà il libretto vaccinale: “Con la seconda dose noi riceviamo il ‘Passaporto verde’”, spiega il farmacologo, “con quello possiamo fare tutto, andare in piscina e al museo, nei ristoranti al chiuso e al cinema. Non solo è un ottimo incentivo per convincere i dubbiosi, ma ci rassicura dal timore di trovarci a mangiare di fianco a una persona non protetta e potenzialmente contagiosa. E’ uno strumento democratico, non costringe nessuno ma tutela la comunità, nessun Paese potrà farne a meno”. Quanto ai sanitari che rifiutano di immunizzarsi – praticamente un ossimoro – in Israele vengono deviati su mansioni non a contatto col pubblico.
Mercoledì il premier Draghi ha rivolto al Senato parole vibranti, “alcune Regioni trascurano gli anziani in favore di gruppi che vantano priorità in base a qualche loro forza contrattuale”, ha denunciato, “è una situazione inaccettabile”. Il latte è versato, inutile piangere, ma da subito si rispettino le disposizioni del ministero della Salute, rimarca Assael, che a queste condizioni vede con ottimismo il futuro dell’Italia: “Stanno per arrivare molti nuovi vaccini, per fine aprile il quadro sarà già molto diverso”. Inoltre a maggio l’Ema deciderà su Sputnik, e non importa se il francese Thierry Breton, commissario europeo per i vaccini, ha bocciato il prodotto russo affermando che l’Ue non ne ha bisogno perché raggiungerà l’immunità di gregge, guarda caso, il giorno della presa della Bastiglia (14 luglio, segniamocelo), “dai dati pubblicati Sputnik pare ottimo, se l’Ema darà il via libera va usato qualsiasi vaccino al mondo”. Eventualmente anche il cinese Sinovac, inoculato in Cile al ritmo di 1,5% di popolazione al giorno, “a breve sarà interessante vedere i loro risultati”.
Insomma, dobbiamo guardarci intorno e prendere il meglio da tutte le esperienze, tanto siamo tutti sulla stessa barca. Ad esempio ora sappiamo che le donne incinte vaccinandosi proteggono il feto, “una certezza che abbiamo mutuato dall’osservazione clinica dei numerosi bimbi nati con gli anticorpi”, sottolinea il dottor Sher, e sua figlia, medico anestesista rianimatore, ne è testimone diretta. Importante anche la sperimentazione condotta in Israele sulla fascia 14/16 anni con ottimi risultati, “probabilmente in estate procederemo con tutti i bambini”, via imprescindibile per impedire lo sviluppo di nuove varianti.
Il Covid è materia inedita, solo dalla pratica sapremo se rimarremo immuni o occorrerà un richiamo, magari annuale o addirittura semestrale, se potremo “mischiare” i sieri o saremo vincolati al primo ricevuto. Dovremo farci trovare pronti per tutti gli scenari possibili (non a caso gli Usa per immunizzare 280 milioni di persone hanno comprato un miliardo e mezzo di tutti i vaccini del mondo). Soprattutto se il Sars-CoV2 muterà dovremo agire subito, ma per questo occorrerà che il mondo unisca le forze costituendo centri di osservazione e sequenziamento in ogni regione, così da intercettare i nuovi ceppi emergenti e spianare le armi (modificare i vaccini) prima che il coronavirus riprenda il sopravvento. Come a dire che il Covid qualcosa di buono lo avrà fatto, se questa volta l’umanità saprà lavorare in rete e non lasciare indietro il Terzo Mondo, “visto che o immunizziamo tutti o il virus tornerà sempre”, conclude Assael.
Per lo stesso motivo vaccinare anche i giovanissimi sarà necessario. E Israele insegna anche come convincerli: “Molti per pigrizia non volevano – racconta Sher –, così la sera nei bar team di sanitari hanno offerto gratis birra e cholent (spezzatino) agli studenti ebrei, focaccia e falafel (polpette di ceci) agli studenti arabi, se prima si facevano vaccinare. Voi fatelo con pizza e patatine”. Sorride Assael: “Si chiama incentivazione alimentare, l’abbiamo inventata secoli fa. Con un piatto di lenticchie”.