Il dibattito. Utero in affitto, Milano dice no ma vuol legittimare chi vi ricorre
Palazzo Marino, sede del Comune di Milano
Festival del paradosso ieri pomeriggio alla seduta della Commissione consiliare del Comune di Milano chiamata a pronunciarsi sull’iscrizione di due 'padri' sul certificato di nascita di un bambino, figlio biologico, com’è inevitabile, di uno solo dei due. Il piccolo è nato all’estero con la pratica odiosa dell’utero in affitto.
Ma la maggioranza della ventina di consiglieri intervenuti, su circa cinquanta presenti – oltre a numerosi rappresentanti delle Famiglie arcobaleno – hanno sbaragliato tutte le leggi della logica. Condanna unanime per quella che è stata quasi unanimemente definita, con lessico gentile, 'gestazione per altri' ma, allo stesso tempo, via libera senza problemi alla trascrizione del doppio padre all’anagrafe. Come se di fronte a un reato penale – perché questa rimane per il codice la prassi dell’utero in affitto – fosse possibile ribadire la condanna ideale dell’atto ma assolvere con formula piena chi materialmente l’ha commesso.
In realtà il quesito a cui era chiamata a rispondere la commissione, in presenza dell’assessore ai Servizi civici e trasformazione digitale, Roberta Cocco, e al direttore del settore Servizi civici e anagrafe, Andrea Zuccotti, era molto più capzioso. I consiglieri dovevano esprimersi sulla possibilità di registrare 'in automatico' – senza cioè rinviare il caso al tribunale – le richieste di iscrizioni di atti di nascita presentati da coppie omogenitoriali per bambini nati all’estero. La questione, e si tratta di un’altra banalizzazione, è rimasta tutta concentrata su una questione di 'ordine pubblico'. Un bambino con 'due padri', che di fronte alla legge pretendono di rivendicare senza differenze la stessa 'quota di paternità', rappresenta un problema di ordine pubblico? Evidentemente no, ha tagliato corto il direttore dei Servizi civici del Comune, dicendosi intenzionato a mandare avanti le procedure di registrazione.
D’altra parte, hanno argomentato molti degli intervenuti, se ci sono già state tre sentenze favorevoli alla trascrizione da parte del Tribunale, perché andare nuovamente a disturbare i magistrati che hanno già tanti grattacapi? Provveda direttamente il Comune per via amministrativa senza perdere tempo. Peccato che ridurre tutta la complessità della cosiddetta 'omofecondità' a un problema di ordine pubblico significa ignorare – o fingere di farlo per opportunità politica – una montagna di questioni che intrecciano biologia, diritto, antropologia, psicologia, generatività e tanto altro ancora.
È possibile che, in assenza di una normativa nazionale, un Comune possa pensare di avventurarsi autonomamente su un terreno così delicato e sconosciuto? Soprattutto alla vigilia di una sentenza della Cassazione a sezioni unite che dovrebbe dire una parola definitiva su un problema lacerante, sempre in bilico tra Comuni, paladini di (presunti) diritti per tutti, e Tribunali artefici di giurisprudenza creativa? Anche perché quella decisione potrebbe maturare sulla base di conoscenze che – come ieri è apparso evidente dagli interventi di molti consiglieri – appaiono tanto approssimative quanto pericolose.
Si sono sentite dichiarazioni del tipo: 'In letteratura non esistono ricerche che dimostrano che un bambino non possa crescere bene in una coppia omosessuale' (falso, esistono molte ricerche, basta leggerle in modo non ideologico). Oppure: 'Chi si batte contro la registrazione vuole negare un diritto alle coppie omosessuali' (falso, non esiste un diritto alla genitorialità). Ora la questione dovrebbe arrivare in Consiglio comunale. Ma la strada appare segnata: un azzardo antropologico nel buio dell’ideologia. Hanno bisogno di questi 'diritti' le coppie omosessuali?