Consulta. L'usura è una «tassa» che può gravare su milioni di italiani
Ci si può riuscire anche coi topi, basta saperlo fare. La Lumsa e un laboratorio di neuroscienze francese hanno costruito una “slot machine” proprio per roditori e questi hanno imparato a giocare. Ma lo hanno fatto talmente bene che, grazie anche a luci e suoni delle loro “slot”, pur lasciati senza mangiare preferiscono giocare anziché nutrirsi. Morale, «anche avendo fame, scelgono il “nutrimento” del gioco al cibo», ha raccontato Luigino Bruni, che alla Lumsa insegna Economia. Sorprendente, insomma. O forse per niente.
Se in Italia nel 2017 «la gente ha speso oltre cento miliardi in gioco d’azzardo, significa che ha delegato felicità e serenità alla “dea bendata”», ha sottolineato monsignor Alberto D’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura, aprendo ad Assisi (Pg) i due giorni d’assemblea della stessa Consulta. Non bastasse l’azzardo, c’è dell’altro e nemmeno dalle proporzioni risibili o in diminuzione: «Si diventa poveri non sempre per motivi oggettivi – ha continuato – ma anche per esperienze di vita ispirate al consumismo e all’individualismo», che finiscono «con lo scegliere di procurarsi il denaro secondo l’antico adagio del “maledetto e subito”». Un’assemblea cominciata a Santa Maria degli Angeli con un lungo momento di preghiera guidato dal segretario della Cei, Nunzio Galantino.
Condotta dal direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. E subito segnata dalle bacchettate del prefetto Domenico Cuttaia, Commissario straordinario governativo antiracket e antiusura: «L’usura non nasce per caso », una delle cause «sono le attività economiche che fanno perno su un vizio, su una debolezza umana», ha detto. E se il legislatore «qualche tempo fa ritenne di rendere lecite e disciplinare determinate attività per farle emergere ed evitare il lucro proprio su queste debolezze», invece sdoganando il gioco d’azzardo «purtroppo dobbiamo dire che quella finalità è stata tradita». Perché «non s’è trattato solo di far emergere un fenomeno, visto che poi ha assunto dimensioni veramente preoccupanti ». Chiaro e tondo: «Lo Stato – è andato avanti Cuttaia – se deve disciplinare, deve dare anche un indirizzo». Non fosse perché «rappresenta l’ancoraggio a temi d’interesse generale, ma questo dev’essere realizzato» se necessario «anche con provvedimenti forti», capaci di «limitare i profitti di chi non può speculare serenamente e tranquillamente sulle debolezze individuali». Lo Stato, a proposito. Il ministero dell’Economia ha messo a disposizione 27 milioni di euro in favore di imprese e famiglie a rischio usura – come ha spiegato Roberto Ciciani, dirigente generale Direzione V Dipartimento del Tesoro – che sono stati erogati a 112 consorzi di imprese e 36 tra associazioni e fondazioni.
Un fondo che varia di anno in anno, perché alimentato soprattutto dalle sanzioni amministrative antiriciclaggio e valutarie. Naturalmente i burattinai dell’usura hanno caratteristiche conosciute. Per esempio «secondo i dati della Guardia di Finanza – ha sottolineato Lavinia Monti, dirigente sempre del V Dipartimento del Tesoro – nel 2016 su 5,3 miliardi di euro derivanti dalle operazioni di riciclaggio, 17,8 milioni provengono da estorsioni e usura». Non è un mistero che quest’ultima «sia collegata alla criminalità organizzata – le parole ancora di monsignor D’Urso –, nutrendosi del silenzio generato dalle paure della povera gente che vive nel terrore di ribellarsi al proprio usuraio quando da benefattore si trasforma in aguzzino». C’è allora poco da prendere la questione sottogamba o minimizzarla. «Le forme di povertà sono diverse, si sono moltiplicate», spiega chiaro il presidente della Consulta nazionale antiusura: «In Italia dieci milioni di cittadini in condizioni di povertà relativa sono esposti al rischio di usura. Il fallimento delle famiglie per debiti è diventato una sofferenza di massa, in questi anni cronicizzatasi». E di nuovo, infine, anche Luigino Bruni: «L’usura è una tassa sui poveri, è un indicatore di civiltà dei popoli, è un grande business per l’economia incivile».