L'anniversario. Ustica, strage impunita da 40 anni. Ecco tutta la storia
Il relitto del Dc-9 Itavia ricostruito nell'hangar di Pratica di Mare (Roma) in una immagine d'archivio
Dopo quarant’anni, sulla strage di Ustica – furono ottantuno le vittime dell’aereo caduto nel Mediterraneo il 27 giugno 1980 – manca ancora una verità ufficialmente riconosciuta. Non per questo, però, va sottovalutato quanto sappiamo. In un’intervista rilasciata nel 2008 Francesco Cossiga disse di essere stato informato – quando era Presidente della Repubblica – «che erano stati i francesi: decollando dalla Clemenceau, un aereo di Marina aveva lanciato un missile». Nel suo accurato lavoro di ricostruzione che dura da molti anni, il giornalista investigativo Andrea Purgatori ha raccolto la testimonianza di due membri dell’equipaggio della portaerei americana Saratoga secondo cui due caccia americani, partiti dalla portaerei con l’armamento, tornarono senza di esso. Sulla base di questi e di molti altri elementi, Cora Ranci autrice di un libro recente – Ustica. Una ricostruzione storica, il Mulino, 2020 – conclude che la tesi prevalente individua come aggressori dell’aereo civile italiano gli Stati Uniti o la Francia. Malgrado i margini di incertezza che ancora permangono, non si tratta di una verità da poco, anche se nessun tribunale finora ha potuto certificarla e, forse, non potrà mai farlo.
È una verità difficile da accettare. Come è stato possibile che uno o due Paesi, entrambi alleati dell’Italia, come Francia e Stati Uniti, abbiano abbattuto un aereo civile italiano? Fu certamente un errore, ma per capirlo occorre tornare al contesto storico di allora. Il 1980 non è stato un anno qualsiasi. L’anno precedente, l’ayatollah Khomeini era tornato in Iran, accolto trionfalmente da molti milioni di persone, e di lì a poco un gruppo di giovani islamisti aveva assaltato l’ambasciata americana a Teheran prendendo in ostaggio tutto il personale. A seguito della nascita del primo Stato fondamentalista del mondo, l’Unione Sovietica compì la prima azione militare fuori dalla sua tradizionale zona d’influenza, invadendo l’Afghanistan. Si concluse così definitivamente l’epoca della distensione e iniziò il crollo di un equilibrio che aveva garantito per molti anni la sicurezza dell’Occidente e del blocco sovietico. Cominciò, per certi aspetti, il mondo in cui viviamo oggi. Credendo che avrebbero continuato a controllare il resto del mondo come avevano fatto nei decenni precedenti, i vertici dei due blocchi inasprirono lo scontro diretto: fu il ritorno alla "guerra fredda" o l’inizio di una "nuova guerra fredda", segnato vistosamente dall’installazione di nuovi missili nucleari, SS-20 da una parte e Cruise e Pershing dall’altra. L’installazione di questi in Italia fu deciso dal Secondo governo Cossiga, in carica proprio nel 1980.
Intanto, il terremoto politico che aveva colpito l’Asia musulmana dall’Iran all’Afghanistan investì indirettamente anche il Medio Oriente e il Mediterraneo. Nel 1978 l’accordo di Camp David aveva aperto concretamente la strada – per la prima volta e, purtroppo, anche per ultima – alla pace tra Israele e palestinesi, provocando la durissima reazione dei Paesi arabi contro l’Egitto che aveva firmato l’accordo con Israele. Ma la tempesta che veniva da Oriente cominciò a incrinare quell’accordo e il Mediterraneo ad apparire una zona sempre più a rischio, in cui il dittatore libico Gheddafi, inizialmente considerato poco pericoloso, divenne sempre più sospetto, anche per i suoi collegamenti con frange del terrorismo internazionale. Con la Libia di Gheddafi l’Italia intratteneva allora rapporti costanti, per motivi che oggi capiamo ancora meglio di allora: è sotto i nostri occhi, infatti, il disastro creato dal vuoto politico libico e dalla rinuncia dell’Italia ad una presenza incisiva in Libia e nel Mediterraneo. Ma questi rapporti – come il dialogo con l’Olp di Arafat: fu proprio il secondo governo Cossiga a promuovere la decisione europea di avviare questo dialogo – non piacevano ad alcun alleati dell’Italia, in primis gli Stati Uniti, che non comprendevano quanto la tradizionale politica italiana nel Mediterraneo rappresentasse un contributo importante per la pace.
Furono queste tensioni a provocare la tragedia di Ustica. Il 27 giugno 1980 un aereo misterioso, con ogni probabilità libico, si mise sulla scia dell’aereo Itavia, che viaggiava da Bologna a Palermo, per nascondersi ai radar. Fu comunque individuato e diversi caccia – francesi? americani? – si levarono in volo per attaccarlo. E probabilmente quella notte anche molti altri caccia attraversarono il cielo del Mediterraneo: forse, in tutto, ventuno. Ad essere colpito fu però l’aereo civile con il suo carico di ottantuno uomini, donne e bambini. L’aereo libico fuggì, fu inseguito e finì per schiantarsi in Calabria. Non ne siamo certi, ma è molto probabile che le cose siano andate così. Ai parenti delle vittime, questa ricostruzione non basta: aspettano ancora una verità ufficiale.
Ma è una verità difficile da ottenere: dovrebbero venire meno le ragioni di silenzi che durano da quarant’anni, più che da parte italiana ormai soprattutto da parte di altri Paesi. Conoscerla sarebbe molto positivo e non solo per soddisfare il legittimo desiderio di verità di chi è stato colpito nei suoi affetti più cari. Vorrebbe dire, infatti, che si è chiusa definitivamente quella stagione storica. Purtroppo non è così: mentre infatti la guerra fredda è ormai finita da tempo, l’instabilità del Mediterraneo, dovuta al conflitto fra tanti interessi diversi, ancora oggi non permette quella pace cui aspirano popoli di tre continenti diversi.