Formazione. Università, il 40% è al top. «Ma ora servono più risorse»
Non abbiamo neanche un'università nella top 100 mondiale, ma il sistema italiano della formazione terziaria è migliore di come viene raccontato. Uno spaccato, per certi versi anche inaspettato, emerge dalla ricerca “L'Italia e la sua reputazione: l'università”, presentato da Intesa Sanpaolo e Italiadecide, da cui emerge che il 40% degli atenei italiani è nella top 1000 mondiale, vale a dire nel 5% delle migliori università del pianeta, che sono circa 20mila. E tutto ciò, nonostante il nostro Paese investa in questo settore appena lo 0,3% del Pil, meno della Grecia e un terzo della Germania. «Quella universitaria è una comunità che sta invecchiando, con oltre la metà dei docenti con più di 50 anni, ma è anche una comunità resiliente», ha spiegato Domenico Asprone, coordinatore scientifico della ricerca. «Ora è necessario investire di più e lavorare per mantenere questa reputazione anche in futuro», ha ricordato il docente. Sottolineando che se oggi i laureati nel mondo sono 219 milioni, nel 2100 saranno 1 miliardo e mezzo e gli attuali 200 milioni di studenti universitari, diventeranno 400 milioni entro il 2030. La sfida è, allora, quella di diventare attrattivi per essere in grado di accogliere queste nuove leve della conoscenza. «La reputazione - ha aggiunto il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros Pietro - è un elemento fondamentale nella società del futuro, che si baserà sulla circolazione delle informazioni. Una buona università deve fare avanzare le conoscenze, rendendole disponibili a tutti e contribuendo così a migliorare la società». Anche il presidente onorario di Italiadecide, Luciano Violante, ha sottolineato la centralità di una buona reputazione internazionale, che è il «capitale immateriale del 21° secolo». «Basta con la narrazione del Paese fondata sul principio della catastrofe - ha ammonito l'ex-presidente della Camera -. Noi non siamo vittime del ranking, ma della passività nei confronti del ranking. I dati di questa ricerca, ci dicono che, invece, abbiamo un sistema universitario competitivo e migliore di come viene raccontato».