Attualità

UNIONI CIVILI. Sulle coppie di fatto è burrasca nel Pd

Pier Luigi Fornari sabato 5 febbraio 2011
Scoppia una mina etica nell’assemblea nazionale del Pd apertasi ieri. Una deflagrazione di tutto rilievo perché un big come Massimo D’Alema sponsorizza l’ordine del giorno in materia di unioni civili promosso da «Cambiare l’Italia», l’area che fa riferimento ad Ignazio Marino. Il senatore chirurgo infatti ha presentato un documento per sollecitare conoscenza e dibattito sui nuovi diritti di cittadinanza che sarebbero previsti dalla Carta europea. L’ordine del giorno esplicitamente chiede di «prendere tutte le iniziative necessarie a garantire il riconoscimento in Italia delle unioni tra persone dello stesso sesso e di sesso diverso sulla base di pari dignità e uguaglianza». E il presidente del Copasir figura tra i 66 che l’hanno firmato. Marino ha anche sostenuto un altro testo, dedicato al fine vita, che punta a stravolgere il ddl il cui esame da parte dell’aula della Camera è previsto a partire dal 21 febbraio. La proposta di Marino prevede che con le Dichiarazioni anticipate di trattamento si possa rifiutare la nutrizione e l’idratazione, scelta oggi esclusa dal testo. D’Alema non ha firmato questo secondo documento, ma la sua presentazione basta ad accendere un’aspra battaglia con il gruppo degli ex Ppi guidati da Fioroni come anche con altri esponenti Modem e di diverse componenti, preoccupati del rapporto con i centristi. Anche perché Pier Luigi Bersani ha puntato a rinviare il pronunciamento su questi temi a una commissione ad hoc in cui tutte le anime del partito devono essere rappresentate. La commissione ha il compito di portare un proprio documento in una successiva assemblea nazionale o alla direzione. Ieri la presidente del partito, Rosy Bindi, ha annunciato all’assemblea la decisione presa da Bersani. Ma la notizia non è stata presa bene da Marino che insieme ad alcuni parlamentari (Sandro Gozi, Michele Meta, Paola Concia, Ivan Scalfarotto) ha promosso i due documenti sui temi sensibili. A siglare il primo, oltre a D’Alema, diversi dirigenti a lui vicini, come Gianni Cuperlo, Barbara Pollastrini, Giovanni Lolli, Enzo Amendola e Sergio Blasi. Il secondo è invece stato firmato solo da questi ultimi. La mossa dell’ex premier ha suscitato una serie di malumori nel partito, anzitutto tra gli stessi bersaniani, e in primo luogo della Bindi che dovrebbe guidare la commissione ad hoc. Contrariati anche gli ex del Ppi, vicini a Beppe Fioroni. «Forse D’Alema – ha ironizzato il loro leader – vuole fare un accordo con Casini e il Terzo Polo sulla base di un programma sulle coppie gay...». E malcontento c’è anche tra i deputati del Pd della commissione Affari sociali della Camera, che hanno trovato un’intesa da portare in aula diversa dal testo del documento promosso da Marino. D’Alema però ha difeso a spada tratta la sua posizione. «Il tema è stato all’ordine del giorno del governo Prodi – ha insistito a proposito del riconoscimento delle coppie di fatto –. Su questo tema l’Unione europea ci invita da tempo a legiferare. La stessa Bindi ha ricordato che il Pd avvierà un gruppo di lavoro su «laicità e diritti». Il testo può essere un contributo alla ricerca di una posizione condivisa». Ma la presidente del Pd, annunciando il percorso indicato dal segretario («la commissione sul rapporto tra laicità e diritti»), aveva suonato un’altra musica: un consesso con «una composizione plurale» di cui devono far parte «esponenti del partito che si occupano di questi temi e personalità della società civile e del mondo della cultura». E aveva cercato di smussare gli angoli: «Siamo consapevoli di avere impostazioni culturali diverse e per questo dobbiamo trovare una sintesi plurale rispettosa di tutte le sensibilità». Infatti la presidente precisava che si deciderà «a maggioranza come avviene in democrazia ma rispettando, come avviene in democrazia, anche il principio irrinunciabile della libertà di coscienza». Marino invece non desiste, forse in vista del prossimo voto parlamentare sul fine vita, per inchiodare i democratici a una sorta di "centralismo democratico" sui temi etici. Cioè, in buona sostanza, minimizzando lo spazio della libertà di coscienza.