Attualità

Conti pubblici. Quattro dubbi su una manovra magra

Eugenio Fatigante martedì 3 ottobre 2023

Il ministero dell'Economia e delle Finanze

Sulla manovra incombe il peso crescente della spesa per interessi sul debito, destinata a crescere progressivamente fino a a sfondare quota 100 miliardi nel 2026. Un debito che resta sotto i riflettori delle agenzie di rating, che nel giro di un mese e mezzo alzeranno il velo sui loro giudizi (la prima, il 20 ottobre, sarà S&P). Ma è solo il più grosso dei tanti dubbi che gravano su questa legge in costruzione, che dettagliamo in pagina. Incluso quello sugli investimenti alimentati dai fondi europei del Pnrr: nell’ultima Nadef il quadro aggiornato delle stime di spesa è rinviato di fatto al Def dell’aprile prossimo alla luce delle “interlocuzioni in corso” con l’Ue. L’unico dato certo è che nel 2023 gli investimenti fissi lordi nel complesso si fermeranno a 58,7 miliardi di euro, pari al 2,9% del Pil; una cifra ben lontana da quella crescita del 29,3% stimata meno di sei mesi fa, quando ci si attendeva che arrivassero al 3,3% del Prodotto interno lordo.

I numeri della crescita

Il primo rebus della Nadef è un vizio spesso presente anche in analoghi documenti del passato: quello di sovrastimare la crescita dell’anno successivo (e, di conseguenza, le annesse entrate fiscali) per impostare un quadro meno “impattante”. Così il governo Meloni ha calcolato un effetto espansivo delle misure presenti nella prossima manovra, tale da portare il Pil del 2024 all’1,2% programmatico, quando ormai tutte le previsioni di analisti e centri studi accreditano al massimo un +0,8-0,9%. Anche l’Ufficio parlamentare di bilancio ha parlato infatti di un quadro esposto a «numerosi rischi al ribasso».
La scommessa del governo è che ci sia una ripresa dell’attività già dal 4° trimestre di quest’anno, ipotesi su cui ha sparso dubbi già il centro studi di Confindustria. D’altronde nella Nadef stessa si simulano 4 scenari avversi, a seconda di una eventuale frenata del commercio mondiale, di un rialzo ulteriore dei tassi d’interesse, del prezzo del petrolio e di un rafforzamento dell’euro. Nei casi più estremi, in presenza di una o più di queste condizioni, anche il governo ammette che ci potrebbero essere cali della crescita che vanno dallo 0,1 allo 0,4%. Un arretramento che porterebbe come immediata conseguenza una perdita del gettito fiscale che aprirebbe “buchi” di bilancio. Sarebbe meglio, quindi, prevedere coperture più certe.

Le coperture incerte

Per il momento si ipotizza una manovra 2024 da 24-25 miliardi. Per impostarla l’unica certezza riguarda i 15,7 miliardi di maggior deficit indicati nella Nota d’aggiornamento. Restano pertanto da trovare altri 10 miliardi circa. Un paio di miliardi sono attesi dalla revisione della spesa (la spending review) nei vari ministeri, ma si tratta sempre di un risparmio che presenta dei margini aleatori. Uno o due miliardi a testa sono attesi poi dalla nuova tassa sui profitti delle banche per il caro-tassi, appena rivista dal governo, e dalla Global minimum tax, ovvero la nuova imposta minima (con aliquota effettiva del 15%) sui “giganti” societari, multinazionali e nazionali, con almeno 750 milioni di fatturato consolidato, ma essendo delle novità si tratta di incassi tutti da dimostrare nella realtà. Così come è un’incognita quanto si riuscirà a ottenere dal concordato preventivo biennale, l’accordo con le partite Iva sulle tasse da pagare in base a una stima del loro fatturato, che dovrebbe prendere il via nel 2024 all’interno della riforma fiscale. Altrettanto dubbio è il miliardo circa atteso da una prima revisione delle tante agevolazioni fiscali oggi presenti. Va inoltre tenuto conto che per garantire il calo del debito dal 2026 Giorgetti ha annunciato possibili privatizzazioni per un punto di Pil, circa 20 miliardi. Va però tenuto conto che, con una discesa sotto il 20%, molte società sarebbero contendibili.

La sanità fra tagli e rilancio

Altro fronte che complica la composizione della manovra è la sanità. La spesa per questa voce scende rispetto al Pil: i dati delle tabelle tecniche della Nadef mostrano un calo dell’incidenza, con un passaggio in 5 anni, tra il 2020 e il 2025, dal 7,4% al 6,2%. In valori numerici, a legislazione vigente è prevista una flessione dei fondi per il Ssn da 134,7 miliardi nel 2023 (6,6%) a 132,9 nel 2024 (6,2%). Anche nel medio periodo il quadro non varia molto. Con un orizzonte al 2036 (e presupponendo una crescita media annua del Pil di circa l’1%), per la sanità il segno positivo si ferma a 0,4 punti in più, mentre per l’istruzione invece c’è addirittura un calo dello 0,3%. Quanto basta alle opposizioni per parlare di «gravissimi tagli».
Eppure Giorgia Meloni ha indicato la sanità come una delle «grandi priorità» della manovra. L’obiettivo dichiarato è «abbassare i tempi delle liste d’attesa». Alla luce della Nadef, sono in arrivo meno dei «3-4 miliardi in più» che prima dell’estate il ministro della Salute, Orazio Schillaci, definiva come «necessari» per risolvere i problemi. Al servizio sanitario nazionale potrebbero esserne destinati un paio nella manovra che, preannuncia la Nadef, “prevederà stanziamenti, per il triennio 2024- 2026, da destinare al personale del sistema sanitario e per incentivare gli investimenti nel Mezzogiorno”. E dei 31 provvedimenti collegati alla Nadef, uno riguarda la riorganizzazione e potenziamento dell’assistenza territoriale e ospedaliera e uno è la delega di riordino delle professioni sanitarie.

Previdenza e Pa

I 15,7 miliardi del maggior deficit 2024 sono già praticamente blindati per il taglio del cuneo fiscale, un primo assaggio della nuova Irpef e il pacchetto di misure per le famiglie. Quello che si riuscirà a fare in più dipende da quanto si riuscirà ad allargare la coperta, ma i margini appaiono davvero limitati.
Sempre “caldo” è il fronte delle pensioni. Dalla Nadef emerge che sono una fetta notevole della spesa pubblica: da qui al 2036 la spesa pensionistica è stimata in aumento di 1,9 punti (al 17,3% del Pil) rispetto al 2024. Ora si attende il riconoscimento dello 0,8% di conguaglio per allineare all’inflazione effettiva gli assegni già in questo scorcio finale di 2023, con un decreto da 3,2 miliardi di euro atteso in Cdm dopo il 12 ottobre. Non si esclude poi l’ipotesi di una revisione - forse un’ulteriore stretta - del meccanismo di adeguamento (in misura piena attivo ora solo per quelle più basse) introdotto con la scorsa manovra, previsto in vigore per 2 anni.
Il decreto interverrà anche sulla Pubblica amministrazione, che attende risorse per completare i rinnovi contrattuali relativi al 2019-2021 (mancano solo i dirigenti degli enti locali) e per avviare la nuova tornata contrattuale 2022-2024, oltre alla proroga dell’una tantum da 1 miliardo concessa nel 2022. Perde invece quota la possibilità che la detassazione delle 13esime possa scattare già quest’anno: l’ipotesi non sarebbe ancora stata accantonata del tutto, ma è una misura molto costosa e appare molto in bilico.