Attualità

RAPPORTO. Un prof su quattro cambia scuola Al Sud meno studenti

Diego Motta sabato 10 ottobre 2009
L’insegnante con la valigia si sposta dal Mezzogiorno al profondo Nord solo perché nel Meridione gli studenti sono sempre di meno. Lo fa per neces­sità, non certo per opportunità. Non si tratta di un esodo, ma di u­na scelta obbligata per guadagna­re punti in graduatoria. In molti casi è un precario, alla ricerca di stabilità. E davanti a sé trova clas­si ormai abituate a cambiare uno o due professori ogni anno, con tanto di problemi didattici conse­guenti. È l’immagine di una scuo­la a due velocità quella che emer­ge dal rapporto della Fondazione Agnelli, con al centro il discusso tema della mobilità dei docenti. Chi sono gli insegnanti con la va­ligia? Come e perché si spostano da un istituto all’altro? Esistono squilibri tra Nord e Sud e come in­fluiscono sull’occupazione del personale docente? Nell’ultimo anno scolastico, su 852mila inse­gnanti al lavoro, ben 209mila han­no cambiato sede scolastica ri­spetto all’anno precedente. Siamo al 25% e poco consola il fatto che nelle rilevazioni precedenti il va­lore fosse di due punti percentua­li superiore. No ai luoghi comuni Il cambio continuo di sede per i docenti è un fenomeno « demen­ziale » . Parola del ministro dell’I­struzione Mariastella Gelmini, che nel settembre scorso bollò così la notizia di cambiamenti per uno studente su tre, all’inizio del nuo­vo anno scolastico. Sgombriamo subito il campo da possibili equi­voci, fatti filtrare nell’estate scor­sa anche in ambienti politici: la mobilità dei professori è un fatto che non attiene a presunte diffe- renziazioni o discriminazioni ter­ritoriali, ma alla logica di recluta­mento storicamente in vigore nel mondo della scuola. Secondo la Fondazione Agnelli, solo il 19% de­gli insegnanti di ruolo nati al Sud lavorava, nell’anno scolastico 2008/ 2009, in una scuola del Nord, anche se « assai più elevata – scri­ve il rapporto – è la percentuale di insegnanti di origine meridionale nelle graduatorie provinciali a e­saurimento delle regioni setten­trionali » . Come si vede, siamo ben lontani dalla presunta « invasione » di prof siciliani, calabresi o pugliesi nelle classi del Friuli o del Pie­monte, o dalla necessità di test sul dialetto e la storia locale, come e­vocò nel luglio scorso la Lega. Del tutto privo di fondamento, poi, è lo scenario sulla « mobilità di rien­tro » , da Nord a Sud: il numero di domande effettuate è risultato in­feriore a 500 ( solo l’ 1%), il che « smentisce convincimenti talora presenti nell’opinione pubblica e nelle forze politiche » . Occorre in­vece ribadire con schiettezza, so­stengono i ricercatori della Fon­dazione Agnelli, che « una delle più vistose patologie della scuola ita­liana » è proprio la « discontinuità didattica » . Diverse ricerche han­no mostrato, infatti, che al cresce­re della mobilità dei prof da una cattedra all’altra, peggiorano i ri­sultati degli studenti. Il trasferi­mento di un insegnante di ruolo può essere volontario ( e in questo caso l’obiettivo è avvicinarsi a ca­sa o insegnare in un istituto di maggior prestigio) oppure indotto e obbligato dalle inerzie del siste­ma scolastico. Differente è il di­scorso per i prof a tempo determi­nato, i cosiddetti precari: i trasfe­rimenti sono stati 66mila, pari all’ 8%, e in questo caso l’assegna­zione a una sede è determinata dai punteggi e dai meccanismi delle graduatorie. Gli squilibri? Dovuti agli studenti Va detto peraltro che i tempi di at­tesa per l’inserimento in ruolo so­no più « brevi » al Nord rispetto al Sud: in Lombardia l’assunzione a tempo indeterminato di un do­cente avviene a un’età media di 39 anni, in Campania a 42. Ma la maggior facilità nell’ottenimento di una cattedra stabile nelle regio­ni settentrionali è solo una faccia della medaglia: l’altra è costituita dal progressivo squilibrio tra gli studenti presenti nelle classi. A li­vello nazionale la popolazione stu­dentesca è complessivamente di­minuita di circa 12mila unità, ma mentre nel Nord Est, nel Nord O­vest e nel Centro Italia gli studen­ti crescono rispettivamente di 18.500, 19.500 e 2.500 unità, la ve­ra grande diminuzione riguarda il Sud, con circa 52mila studenti in meno. Al di sotto di Roma, dun­que, le classi si svuotano, scom­paiono o vengono accorpate e, per chi voglia insegnare, diventa au­tomatico spostarsi laddove la do­manda di sapere c’è: al Nord, sem­pre più sostenuta dai ragazzi im­migrati che popolano le nostre città. Da qui parte il lungo viaggio dell’insegnante con la valigia, che ancora troppo spesso si rivela un percorso a ostacoli in cui il tra­guardo rimane un miraggio lonta­no.