Attualità

L'ORGOGLIO DELL'ABRUZZO. Un popolo che lotta. E non s’arrende

dal nostro inviato Paolo Viana mercoledì 8 aprile 2009
L’aquilano Mauro Zu­garo e il bergamasco Alberto Zurlo voglio­no la stessa cosa: ricomincia­re a lavorare. E presto. 'La cri­si ha lasciato a Paganica se­gni più profondi del terremo­to, non possiamo certo per­metterci di stare con le mani in mano. Aspettiamo solo che i vigili del fuoco ci autorizzi­no a riaprire' spiega il primo, che gestisce la lavanderia di via Fioretta. La casa non ce l’ha più, devastata dalla scos­sa di lunedì notte, come la chiesa e come il convento del­le Clarisse. Hanno tenuto in­vece le strutture del quartie­re industriale, qualche centi­naio di metri a valle, un’area che è sorta in pochi anni gra­zie agli aiuti europei e altret­tanto rapidamente rischia di spopolarsi. Il gruppo Ofetal dà lavoro a duecento operai e Zurlo, che è sceso dalle valli orobiche per dirigere la pro­duzione di alluminio grezzo, conferma: «Non abbiamo su­bito alcun danno, ma siamo fermi perché ci hanno tolto acqua e gas. Speriamo che ce le restituiscano, perché noi vogliamo ripartire con la pro­duzione domani » . Gli stabili­menti, tutt’intorno, sono de­serti, eppure l’impressione è che faccia sul serio. « Se le i­stituzioni ci daranno una ma­no, come dicono, sarà un in­vestimento. I soldi per la ri­costruzione non andranno persi: l’Abruzzo si compor­terà come il Friuli», taglia cor­to Zurlo, il quale porta con sé l’esperienza di un mestiere antico. « Le acque del fiume Vera hanno una temperatura costante di otto gradi – racconta infatti Angelo Alfonset­ti di Tempera – e le nostre non­ne avevano messo in piedi u­na vera e propria industria del­la lavanderia della quale si ser­viva tutto l’Aquilano. Qui si produceva, con la valchiera, la famosa coperta abruzzese, calda e impermeabile, e l’ac­qua alimentava l’industria della seta e i mulini». Paolo Ga­sbarri gestiva l’ultimo. « Spero di ripararlo e convincere i miei figli a proseguire quest’atti­vità » , ci dice, mentre si aggira tra tende e gruppi elettrogeni nel campo degli sfollati. Persino a Onna, la piccola fra­zione che con i suoi quaranta morti è diventata il simbolo della sofferenza aquilana, si ragiona già sul futuro. Luigi Rainaldi è titolare di un’a­zienda di prefabbricati, in cui lavorano in settanta. « Possia­mo riaprire domattina – ci di­ce – ma finché la terra tremerà gli operai non si sentiranno al sicuro » . Anche qui c’è un fiu­me, l’Aterno. Anche qui c’è u­na via dei Martiri: sarebbero quelli del ’ 43 ma ormai la via è è dedicata a chi ci è morto, sotto i muri di casa propria. « Li ho visti uscire dalle case nella notte, increduli e dispe­rati. Ho abbracciato le figlie di un mio amico, morte di a­sfissia. Ho immobilizzato de­cine di braccia e di gambe con steccaggi di fortuna, ma non mi sono mai trovato solo: tut­to il paese si è rimboccato le lacrime' racconta il medico Gabriele Di Cata. La moglie, anche lei medico, ribadisce: ' tutti hanno pensato a met­tere in salvo i propri cari e do­po, subito dopo, si sono dedi­cati ai feriti, muovendosi nel­la polvere, in un buio spettra­le. Hanno dimostrato che una comunità non muore mai, neanche di terremoto » . La sua vicina di casa, Anto­nella di Gasbarro ha il volto tumefatto, le è caduta addos­so una volta di mattoni ma le fa più paura un futuro senza lavoro: « Il nostro studio o­dontoiatrico dell’Aquila è i­nagibile, chissà per quanto » , sussurra. «Però siamo vivi», ri­batte il marito e ti spiega che nella notte di Onna una rete elettrosaldata tra i mattoni fa la differenza tra la vita e la morte: « Se avessimo rispar­miato sulla ristrutturazione della casa, non saremmo qui » . Uno dei capitoli più spinosi della ricostruzione sarà pro­prio quello del rispetto delle norme antisismiche. L’Abruz­zo dei borghi antichi, pittore­sco e selvaggio, per troppi è diventato una tomba. « Non possiamo dare un giudizio definitivo, ma le case ben co­struite, anche quelle con ce­mento e pietre listate, hanno retto » , argomenta Giacomo Garofalo, che fa il geometra a Monticchio, che si trova a un tiro di schioppo da Onna ma non ha avuto né crolli né vit­time. È rimasta in piedi per­sino la vecchia scuola Basile, costruita «a dispetto di tutte le norme antisismiche » , come dicono qui. Il governo ha annunciato fi­nanziamenti memorabili per l’edilizia ma gli aquilani del contado si guardano intorno e si chiedono se saranno con­servati tutti quei vincoli ar­chitettonici che hanno impe­dito di rinforzare le case con­tadine. Luigi Calvisi è sinda­co di Fossa. Anche lui, come tutti i suoi colleghi, ha visto il paese traslocare in blocco nel campo sportivo. « Siamo fortunati, perché abbiamo una pro loco effi­ciente, che ogni anno organizza la sagra della bistec­ca: questo ci ha permesso di af­frontare l’emer­genza, anche se non vorrei che la nostra autosuffi­cienza inducesse a trascurarci » . Il punto dolente so­no i letti e l’acqua che non ar­rivano. Anche Fossa si è sgre­tolata in una notte ma anche qui si guarda già al futuro. « Speriamo – riflette il sinda­co – che il sisma non allonta­ni gli inglesi » . Prego? « Il no­stro futuro è il turismo e in questi anni abbiamo vendu­to di tutto, stalle e cantine comprese, agli inglesi. Spe­riamo che non ci abbandoni­no » . Una nuova scossa, e la frase si spezza.