Immigrati. Morto bruciato nel ghetto di Borgo Mezzanone, il quarto in un anno e mezzo
Dopo appena dodici giorni sono tornate le fiamme nel ghetto di Borgo Mezzanone. E si sono portate via la vita di un immigrato. Si chiamava Ben Ali Mohamed, ma tutti lo chiamavano Bayfall, aveva 37 anni e veniva dal Senegal. Lo hanno riconosciuto gli amici, un'identificazione quasi certa, anche se manca quella ufficiale delle autorità. Era da molto in Italia, nel Foggiano ma anche in Calabria a Rosarno e San Ferdinando, dove lo ricordano bene. È il quarto morto in un anno e mezzo nell'insediamento della "ex pista", dove nello stesso periodo sono scoppiati ben sette incendi. Alcuni molto distruttivi, altri limitati ma non meno drammatici. Come questa volta. Infatti le fiamme, scoppiate questa mattina attorno alle 6 hanno interessate un'unica baracca. In una zona isolata. L'immediato intervento del presidio fisso dei vigili del fuoco, predisposto da tempo dopo i primi incendi, ha impedito che le fiamme si propagassero ad altre baracche. Purtroppo però non c'è stato nulla da fare per l'unica persona che ci viveva, che è stato difficile identificare perchè la baracca è stata completamente distrutta dalle fiamme
e anche il corpo è stato trovato completamente carbonizzato. In quella parte del ghetto vivono soprattutto immigrati provenienti da quel paese africano. L'insediamento è infatti diviso tra nazionalità diverse, almeno le più numerose.
Un dramma che ricorda quello di poco più di un anno fa quando il 26 aprile 2019 il gambiano di 26 anni, Samara Saho era morto tra le fiamme della sua baracca, probabilmente per un corto circuito partito da uno dei tantissimi allacci abusivi del ghetto. Attualmente nell'insediamento sorto a fianco del Cara sui resti di un aeroporto militare abbandonato, dal quale ha preso il nome, vivono più di 1.500 braccianti immigrati, un numero che sta crescendo in questi giorni con gli arrivi per la raccolta del pomodoro. Per questi lavoratori non ci sono neanche quest'anno alternative. Ma arrivano lo stesso anche in previsione di poter rientrare nella regolarizzazione decisa dal governo proprio per i lavoratori agricoli. E con l'aumento delle presenze crescono i rischi. Nell'ultimo incendio, nella notte del 31 maggio, erano andate distrutte una decina di baracche ma non c'era stato nessun danno alle persone. Questa volta le fiamme non hanno dato scampo.
Alcuni immigrati si sfogano. "Se continuiamo a vivere in queste condizioni moriranno altri noi. Siamo persone e non animali. Non possiamo più vivere cosi. Vogliamo una casa, dignitosa come tutti gli essere umani. Noi siamo qua a lavorare per voi. Lavoriamo nelle vostre terre e voi ci sfruttate. Vi dovreste vergognare". Lo aveva capito bene Bayfall, e voleva reagire, come rivela il segretario generale della Flai Cgil di Foggia, Daniele Iacovelli. "Qualche mese fa ci fermò nel ghetto. Voleva denunciare il suo datore di lavoro. Eravamo in contatto. La paura di perdere il posto di lavoro era tanta, ma c’era anche voglia di riscatto".
Lo conoscevano bene anche medici e operatori di Intersos che da anni opera in questo e negli altri ghetti del Foggiano. "Oggi ha perso la vita un altro lavoratore, costretto a vivere in un ghetto dallo sfruttamento lavorativo e soprattutto dall’ipocrisia di scelte politiche che continuano a non riconoscere alle persone il diritto di esistere e le obbliga all’invisibilità", è il duro commento di Alessandro Verona, coordinatore medico dell'associazione. E aggiunge: "È imperativo superare i ghetti, e per farlo servono, come proposto a settembre dalla Rete di Prossimità della Capitanata, alternative che rispondano al bisogno di riconoscere diritti fondamentali: documenti, casa e lavoro". Anche per il ministro delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, "non è piú accettabile nè concepibile che nel nostro Paese ci siano donne e uomini invisibili, che vivono in condizioni di vita oscene, rinchiusi in ghetti. Per questo la legge sulla regolarizzazione è importante: restituisce ai lavoratori stranieri irregolari la loro dignità di esseri umani, la loro identità, dà loro la possibilità di vivere e lavorare nella legalità. Impegniamo tutti perchè funzioni".