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Lo studio. Le famiglie del futuro? Senza fratelli né cugini, solo parenti anziani

Massimo Calvi martedì 9 aprile 2024

Il calo delle nascite e l’allungamento della vita, fenomeno che in misura diversa sta interessando tutti i paesi del mondo, avrà effetti dirompenti sulla struttura della popolazione mondiale negli anni a venire. Secondo le previsioni delle fonti più autorevoli, dalle Nazioni Unite all'Institute for Health Metrics and Evaluation (Ihme) dell'Università di Washington, la Terra dovrebbe raggiungere il picco dei 9,7 miliardi di abitanti tra il 2050 e il 2065, per poi scendere a circa 8,8 miliardi nel 2100, anno nel quale, stando a uno studio recente pubblicato su “Lancet”, il 97% dei Paesi avrà ormai tassi di fecondità inferiori a 2,1 figli per donna, quota considerata necessaria a mantenere stabile la popolazione.

L’età media degli esseri umani sulla Terra, insomma, è destinata ad aumentare drasticamente nei prossimi anni, i giovani saranno sempre meno, e la popolazione globale a un certo punto incomincerà a diminuire per cause demografiche. Di questo, ormai, se ne ha piena contezza, in particolare in Italia, nazione che più di altre sta anticipando questa trasformazione, e che ha già incominciato a confrontarsi con le conseguenze più critiche, come la sostenibilità del sistema sanitario e di quello previdenziale, o la competitività dell’economia in assenza di incrementi di produttività.

Se però il calo della natalità ha finora prodotto molto dibattito (e poche soluzioni) per gli effetti legati al calo della popolazione attiva, poco si dice di come cambieranno le strutture familiari e i legami di parentela. Eppure la rivoluzione, in questo ambito, non sarà meno significativa: i fratelli o i cugini, ad esempio, in futuro saranno parenti sempre più rari, mentre i gruppi familiari tenderanno a restringersi, perdendo in orizzontalità, ma anche ad allungarsi, diventando più verticali e arrivando a riunire più e più generazioni, con fortissime differenze di età.

A delineare l’evoluzione delle relazioni di parentela tra gli essere umani nel mondo è uno studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica “Pnas” (Projections of human kinship for all countries), condotto da Diego Alburez-Gutierrez, dell'Istituto Max Planck per la ricerca demografica di Rostock, Ivan Williams dell’Università di Buenos Aires e Hal Caswell dell’Università di Amsterdam, dal quale emergono spunti interessantissimi legati in particolare alla dimensione della cura: reti familiari più sottili - scrivono i ricercatori - significa che le persone avranno meno parenti da cui trarre sostegno nelle fasi chiave del corso della vita.

Un esempio può rendere bene l’idea della trasformazione in corso: nel 1950 una donna di 65 anni aveva una rete familiare composta da 41 persone; nel 2095, invece, una donna sempre di 65 anni potrà contare solo su 25 parenti. È una media globale, ma comunque emblematica: si tratta di un calo del 40% dei parenti. C’è anche un aspetto qualitativo nel cambiamento: se nascono sempre meno bambini, e molti di questi restano figli unici, e l’età del primo parto si alza, e la vita si allunga, è evidente che un bambino che viene al mondo oggi a un certo punto della sua vita potrebbe trovarsi ad avere genitori anziani, nonni ancora più anziani, bisnonni vecchissimi, e nessun fratello o cugino con cui condividere questa condizione familiare.



In Europa e Stati Uniti, ad esempio, il numero di parenti di una persona di 65 anni scenderà dai 25 del 1950 a 15,9 nel 2095 (-37%); in Italia la riduzione non sarà particolarmente dolorosa, perché il problema è già tra noi, e i parenti sono destinati a scendere da 18 a 12,7 (-30%)

Gli spunti di riflessione sono molti. Chi si prenderà cura di chi? Se si diventa genitori in età avanzata è più difficile poter contare sul supporto dei nonni. Ma allo stesso tempo diventare nonni quando si è troppo anziani può far venir meno la possibilità di essere allietati dalla gioia vivificante dei nipotini. E trovarsi ad essere adulti soli, senza fratelli, sorelle o cugini, con più generazioni di anziani cui pensare, può essere decisamente problematico. Lo è per chiunque, e lo sarà ancora di più nei Paesi con meno risorse o con problemi di bilancio, oppure dove il ruolo dei parenti è decisivo nello svolgere compiti di cura.

In Europa e Stati Uniti, ad esempio, il numero di parenti di una persona di 65 anni scenderà dai 25 del 1950 a 15,9 nel 2095 (-37%); in Italia la riduzione non sarà particolarmente dolorosa, perché il problema è già tra noi, e i parenti sono destinati a scendere da 18 a 12,7 (-30%). È in America Latina e Caraibi che la riduzione della parentela raggiungerà livelli drammatici, passando da 56 parenti a 18,3 (-67%). Ancora peggio andrà in nazioni come lo Zimbabwe, dove la rete familiare nel 1950 contava 82 persone e a fine secolo si ridurrà a 24: un calo del 71%.

Come si può intuire, la rivoluzione sarà economica, ma anche sociale e culturale. Come sarà un mondo senza fratelli né cugini e solo parenti diretti, ma con età molto elevate e con differenze molto ampie? Basteranno gli amici a riprodurre una dinamica simile a quella che è sempre stata rappresentata dai parenti e dalla propria famiglia? La ricerca, per tradurre bene il senso di cosa può comportare l’invecchiamento delle reti parentali, prende il caso della Cina, un altro Paese emblematico perché nel pieno di un declino demografico con caratteristiche epocali. Un bambino cinese venuto al mondo nel 1950 cresceva circondato da ben 11 cugini, che insieme rappresentavano quasi il 40% della sua rete familiare; nel 2095, invece, un neonato di Pechino in media avrà a che fare con un solo cugino, che rappresenterà il 7% del totale dei suoi legami parentali. Gli altri saranno tutte persone adulte o molto anziane: per un neonato cinese nel 1950 c’erano in media 2,8 nonni in vita e 1,7 bisnonni, nel 2095 i bisnonni di ciascun bebè saranno 5,3: il 300% in più.



Prendiamo ancora il caso dell’Italia: se nel 1950 una donna di 35 anni aveva una nonna di circa 78 anni, verso fine secolo la nonna di una trentacinquenne avrà ben 87 anni, quasi dieci di più

L’aumento delle aspettative di vita, ma anche l’età più avanzata in cui si diventa genitori, si tradurrà non solo in reti familiari multigenerazionali, ma anche in legami che dureranno molto più a lungo. Prendiamo ancora il caso dell’Italia: se nel 1950 una donna di 35 anni aveva una nonna di circa 78 anni, verso fine secolo la nonna di una trentacinquenne avrà ben 87 anni, quasi dieci di più. Meno bambini, meno fratelli e sorelle, meno cugini, molte generazioni anziane che potrebbero però non avere nipoti né dai fratelli né dai figli: visto dall’Italia la trasformazione è già in corso da tempo, e col passare degli anni potrebbe accentuare le sue caratteristiche. Oggi nel nostro Paese ci sono 3,8 milioni di anziani non autosufficienti, su quasi 60 milioni di abitanti: è evidente che le risorse per una vera riforma dell’assistenza prima o poi dovranno essere trovate, a prescindere dalla capacità di far ripartire almeno un po’ le nascite.

E che sarà di quei Paesi in cui i sistemi di welfare sono meno avanzati e le reti familiari rappresentano ancora la prima se non l’unica forma di supporto? E quale trasformazione culturale comporterà tutto questo, pensando al significato che ancora attribuiamo al temine “cura”, di fronte a un’espansione dei bisogni e delle sfide poste dal sostegno alle persone non autosufficienti, che in previsione saranno più numerose?

C’è un esempio, contenuto nello studio, emblematico e allo stesso tempo piuttosto inquietante, e immagina una cerimonia funebre dopo l’anno 2100 di una persona venuta al mondo ai giorni nostri: senza più l’esperienza di fratelli, sorelle, cugini di primo o di secondo grado, è possibile che in futuro le persone non oseranno più porre ai convenuti che non riconoscono la fatidica domanda: «Scusi, lei è un parente?». Perché, molto probabilmente, di parenti non ce ne saranno più. Ma chissà, forse la rivoluzione demografica darà un nuovo corso al valore dell’amicizia.