Analisi. I numeri dicono che c'è un mare di positivi. Ma quanti sono gravi?
A passeggio con le mascherine nel centro di Milano
«È boom di contagi», «schizzano i casi», «ancora record di positivi». A questi titoli siamo abituati. La pubblicazione del bollettino sull’andamento della pandemia è diventato quasi un incubo quotidiano. Ma se quello del contagio resta il dato predominante, qualche volta assoluto, si finisce per creare nella gente un effetto destabilizzante, senza restituire la fotografia reale della pericolosità dell’ultima identità del Sars-CoV-2, la Omicron.
Per leggere bene questi numeri, che dovrebbero indurci alla prudenza e al rigido rispetto delle regole ma non terrorizzarci, ci viene in soccorso proprio la scienza. Il virologo Guido Silvestri, docente all’Emory University di Atlanta (Stati Uniti), esaminando il “caso” Gran Bretagna, uno dei Paesi percentualmente più investiti dal contagio, ha appena fatto le pulci al virus utilizzando l’“Ifr” (Infection fatality ratio), lo strumento che stima la proporzione di decessi fra gli individui infetti, una sorta di tasso di letalità molto approfondito. Il risultato: il tasso è dello 0,057%; esattamente un anno fa lo stesso Ifr stimava nello 0,88% il rapporto tra morti e gli individui infetti, quindi oltre 15 volte maggiore! Ma quanti dei media che da due anni titolano sul numero dei contagi, si soffermano sulla letalità della variante?
Sembra anche che il numero di nuovi positivi che registriamo in Italia sia così travolgente da arginare gli effetti della vaccinazione. Non è così. Primo perché il vaccino non è stato messo a punto principalmente per prevenire il contagio ma per difenderci dalla malattia severa. Secondo, sono i numeri stessi a smentirlo: sempre Silvestri ci fa notare che se nel dicembre 2020 ci sono stati in Italia 18.578 morti di Covid, nel dicembre che ci siamo appena messi alle spalle i decessi sono stati 3.404. Tutto questo non cancella le fondate preoccupazioni sull’eccessiva pressione che si trova a fronteggiare il nostro sistema sanitario.
Ma, come dice l’immunologo dell’Università Statale di Milano Sergio Abrignani, senza i vaccini oggi in Italia avremmo 10mila persone in terapia intensiva (1.297 i pazienti attualmente ricoverati) e 2mila decessi al giorno (111 quelli di ieri). D’altra parte in Italia ci sono ancora 8,8 milioni di non vaccinati dai 5 anni in su. Se tutti fossimo immunizzati, evidenzia Abrignani, avremmo 440 ricoverati in terapia intensiva e tutto il Paese sarebbe in zona bianca.
Ma oltre ai vaccinati pure i guariti stanno man mano contribuendo a «depotenziare» il virus, come osserva il direttore della clinica di Malattie infettive dell’Irccs Policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti, per il quale, anche a causa di questo motivo, nella primavera prossima avremo il 95% della popolazione protetta. Per Bassetti non elimineremo completamente il virus ma «un conto è affrontare un’influenza, altro è una polmonite severa come accadeva in passato».
Insomma, i numeri dei contagi rendono molto parzialmente l’evoluzione della pandemia e la pericolosità del virus. Che dovrà fare i conti, in questo 2022, con le nuove armi che la medicina sta affinando su più fronti: in Australia si studia un vaccino “universale” contro l’intera “famiglia” dei coronavirus; i colossi farmaceutici Pfizer e Merck – ma non solo – cercano farmaci antivirali orali ancora più potenti e con meno effetti collaterali di quelli appena approntati, così come sono all’orizzonte anticorpi monoclonali ulteriormente tarati contro Omicron e altre varianti. Si può sperare nella svolta. A patto di fidarci della scienza.