L'intervento. «Un mare di porti lontani», il film che smentisce i luoghi comuni
Migranti a bordo di gommoni in mare
È la grande generosità della gente di mare nel Mediterraneo la protagonista del notevole film “Un mare di porti lontani” presentato domenica 3 marzo in anteprima assoluta a Firenze dal regista Marco Daffra e dalla sua équipe. In trent’anni di migrazioni e fughe drammatiche nel Mediterraneo più di 50mila vite sono state perse in mare, ma milioni di persone sono state soccorse dagli uomini e dalle donne della Guardia costiera italiana e della Guardia di finanza, nonché dagli equipaggi delle navi umanitarie e dei mezzi di associazioni come Emergency, Medici senza Frontiere, Mediterranea, Open Arms, Pilotes Volontaires, ResQ e altre, le cui missioni e motivazioni sono descritte nel film di Marco Daffra.
Le immagini di “Un mare di porti lontani” sono state filmate nel 2023 a bordo di alcuni aerei che scrutano il Mediterraneo e di navi umanitarie che soccorrono le persone in pericolo. Oltre alle immagini avvincenti delle perlustrazioni, dei salvataggi e della vita a bordo il film offre le testimonianze in prima persona di capitani, marinai, equipaggi dei gommoni di soccorso e degli aerei, medici, infermieri, macchinisti, interpreti e mediatori culturali. Tutti costoro raccontano con modestia le loro attività e motivazioni. Alcune testimonianze sono toccanti, altre sono analitiche ed aiutano a comprendere.
“Un mare di porti lontani” sfata alcuni miti. Più del 90 per cento delle persone che sbarcano sulle coste italiane vi sono condotte dai meritevoli equipaggi della Guardia costiera e della Guardia di Finanza, oppure vi giungono con proprie imbarcazioni, spesso precarie. Meno del dieci per cento di costoro è soccorso e sbarcato dalle navi umanitarie. Non hanno quindi fondamento espressioni che designano queste ultime come “taxi del mare” che alimenterebbero “una “invasione” in presunta combutta con “mercanti di carne umana”. Né ha fondamento la “teoria del risucchio”, secondo la quale sarebbero i soccorsi delle navi umanitarie ad invogliare più migranti e profughi ad avventurarsi in mare. La reputazione della civiltà marinara e umanitaria italiana è ben confermata dalle incessanti attività di soccorso in mare sia dei nostri militari sia dei civili e volontari italiani, affiancati dai volontari di altri paesi. Questa reputazione è di lunga data, se si pensa a Salvatore Todaro, comandante di sommergibile che nel 1940 salvò i 26 uomini dell’equipaggio del piroscafo che aveva affondato. Il recente film “Comandante” narra la sua storia.
Purtroppo però la reputazione delle “genti di mare” italiane è incrinata dalle leggi e dalla condotta delle “genti di terra” dell’attuale governo che impongono alle navi umanitarie di trasportare le persone soccorse non sempre “al porto sicuro più vicino”, come prescrivono le norme internazionali, la pratica marinara e l’umanità, bensì spesso in porti lontanissimi dal luogo del soccorso e raggiungibili solo in molti giorni di navigazione, a volte in condizioni umanitarie precarie e in condizioni di mare avverse. Multe, blocchi, sequestri e processi sono di sovente inflitti alle navi umanitarie giudicate fallaci, spesso infondatamente, come nel caso clamoroso della nave Iuventa. Alla presentazione del film una specialista ha ricordato che i trasporti lontani, le sanzioni e le leggi attuali hanno reso indisponibili in un anno più di 300 giornate-nave di soccorso, impedendo così probabilmente il salvataggio di molte persone. Per chiedere di intervenire per riformare queste pratiche vessatorie è in corso una raccolta di firme all’appello al Presidente della Repubblica pubblicato il 2 marzo 2023 da Avvenire. Tra le testimonianze più dettagliate e impressionanti nel film vi è quella di Pietro Bartolo, il medico che a Lampedusa per alcuni decenni praticò visite e cure a più di 200mila migranti e profughi giunti precariamente per mare.