Il tema. Le esperienze, le fatiche e le attese degli “amministratori di Trieste”
L'intervento introduttivo di Mattarella alla Settimana sociale di Trieste
La Settimana sociale conclusasi sette giorni fa ha offerto anche una «sorpresa dello Spirito», come l’ha definita mons. Renna, presidente del Comitato promotore: una “autoconvocazione” di circa 80 amministratori locali presenti a Trieste perché invitati dagli organizzatori o perché iscritti attraverso le proprie diocesi. La loro riunione di venerdì 5 luglio presso la sede del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha dato vita alle solite speculazioni su “partito sì partito no”. In realtà, a motivare l’incontro è stato il desiderio, salito dal basso, di fare rete oltre le proprie appartenenze (civiche e partitiche). Una sete di condivisione che accomuna tante persone formatesi nell’associazionismo cattolico e ora impegnate, con non poche fatiche, nella politica locale. Il documento che hanno sottoscritto, di cui si è fatto portavoce l’ex senatore triestino Francesco Russo, farà da base ad un secondo incontro previsto in autunno. Per dare voce a questo desiderio di dialogo trasversale, Avvenire da oggi e nelle prossime settimane darà voce ad alcuni tra gli “amministratori di Trieste”.
Daria Jacopozzi, assessora alla Pace del Comune di Parma
Dopo 5 anni di opposizione in Consiglio comunale seguiti da una nuova esperienza come Assessora, posso definire la mia esperienza amministrativa interessante, sfidante ma anche faticosa. Sono grata al Movimento politico per l’Unità che mi ha invitato a partecipare alla Settimana sociale di Trieste poiché da sempre ho sentito prezioso, e lo è stato, un contatto stretto con altri amministratori con background di vita ecclesiale, reso possibile sia in Consiglio comunale con un consigliere “in tandem” con me a livello elettorale, sia all’interno della stessa Mppu che da sempre seguo ed apprezzo come esperienza profetica.
Partecipare alla Settimana sociale di Trieste mi ha permesso di condividere con altri amministratori il bisogno di aiutare tutta la comunità cristiana locale a non avere paura della politica, dei partiti, di chi si impegna mettendoci la faccia. La politica è stata definita da Chiara Lubich «l’amore degli amori». Così dovrebbero raccontarla anche i sacerdoti dal pulpito, invitando i cittadini credenti a partecipare alla vita politica anche entrandovi in modo diretto.
Qui sta il problema. Spero che una rete di amministratori a livello italiano possa ridare slancio e fiducia nei confronti della politica attiva, dare luogo a nuove progettualità su temi di ampia portata (partecipazione e gestione dei beni comuni, accoglienza, pace, legalità, co progettazione) di cui tanto abbiamo parlato a Trieste.
Questo infatti mi porto a casa da Trieste, una visione aperta e costruttiva della partecipazione, che essendo una mia delega mi sta impegnando in un nuovo progetto di “decentramento” molto innovativo, con una piattaforma digitale e con un albo aperto ai cittadini disponibili a collaborare su progettualità per il quartiere e aperto alle associazioni del territorio (parrocchie comprese, perché no?).
Avviare processi e non occupare spazi, ci ha detto il Papa: chi fa politica sa quanto questa sia una mentalità innovativa ma necessaria, da portare nei propri partiti di Riferimento, qualsiasi essi siano. Stare come amministratori nel cuore della democrazia significa anche cedere sovranità, coinvolgendo la cittadinanza nella costruzione condivisa di progetti di cui sentirsi protagonisti e farlo insieme a loro.
Penso alle enormi potenzialità della “amministrazione condivisa” di cui a Parma abbiamo lunga e ricca esperienza (dalla foresta urbana alle pulizie di primavera alle reti di associazioni a servizio dei quartieri): esse nascono dal basso con “Patti di collaborazione” che permettono a cittadini di prendersi cura dei beni comuni nella piena logica della sussidiarietà.
Una nuova rete di politici indipendenti e di molti partiti potrà arricchire il confronto e il dialogo, soprattutto in un momento in cui c’è bisogno di politiche per la pace, tutte da inventare e da finanziare: penso al mio assessorato alla Pace e, sognando, ad un ministero che coordini le tante e necessarie politiche per la pace e lavori davvero ad una “economia disarmata”.
Andrea Cabibbo, consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia
Essere cattolici impegnati in politica riguarda prima di tutto la persona, la coscienza di essere “uno”, la capacità di non dividere le cose, la vita personale e quella della società in cui viviamo, il coraggio di essere se stessi sempre, in parrocchia e in Consiglio comunale, di battersi per i propri ideali, per il mondo che vogliamo consegnare ai nostri figli, senza rinunciare a ciò che si è per paura di “sporcarsi l’anima” o senza esporsi, per mero opportunismo.
Per questo, quando ero consigliere di minoranza in Comune ho ottenuto l’approvazione di una mozione a sostegno delle gestanti in difficoltà; per questo, da presidente del Consiglio comunale, in occasione del Santo Natale ho avviato la tradizione di invitare in Municipio il vescovo con tutte le autorità cittadine per un messaggio augurale; per questo, in Consiglio regionale mi sono battuto a difesa della dignità della vita, contro la cultura dello scarto, impedendo l’approvazione del cosiddetto “suicidio assistito”.
Come cattolici non possiamo delegare ad altri, restare chiusi nelle rassicuranti sacrestie delle parrocchie, perché Dio si è fatto uomo, è entrato nella storia: è qualcosa di sconvolgente, che vince l’indifferenza.
Come bene ha detto mons. Luigi Renna, per troppi anni i cattolici impegnati in politica hanno parlato con una parte; è ora che si parlino tra di loro. Nessuna nostalgia per un “partito dei cattolici” e, del resto, in Forza Italia (in cui sono dal 2002) ho trovato una “casa” in cui essere sempre me stesso e portare avanti liberamente le mie convinzioni, ma è evidente che la diaspora dei cattolici in politica nel nostro Paese non ha contribuito ad un miglioramento della politica stessa. Anzi, i cattolici spesso sono stati fagocitati dai partiti, abbandonati ad una inesorabile solitudine anche da parte dell’associazionismo cattolico, diffidente verso chi si impegnava in politica.
È giunto il tempo in cui i cattolici si confrontino tra loro e condividano le esperienze per poter dare voce ai valori cristiani e alla Dottrina sociale della Chiesa, al di là ed oltre i diversi schieramenti, per fare sintesi su alcune questioni fondamentali e indicare una base condivisa di contenuti, metodi e stili di vita, utili a quanti sanno operare per il bene comune con uno slancio ideale ed un orizzonte più ampio, che va oltre i tweet e gli slogan “validi” oggi per oggi, cui come cristiani non possiamo abituarci.
L’esperienza di Trieste ha acceso i fari sull’importanza di restituire dignità alla Politica, quella con la “P” maiuscola e sulla necessità di avere un luogo di confronto e discernimento, che aiuti a consolidare la consapevolezza della responsabilità in chi gestisce il bene pubblico.
La “rete degli amministratori” può contribuire a realizzare quel rinnovamento e quello slancio ideale di cui oggi il Paese ha estremamente bisogno, quel cambiamento radicale che è prima di tutto una conversione interiore, perché non si tratta di “fare cose nuove”, ma di “fare nuove le cose”.
Benedetta Simon, già vicesindaca di San Lazzaro di Savena
guardare lontano (il tempo è superiore allo spazio, ci ha ricordato il Santo Padre), di non cedere alle logiche di potere che reclamano semplici posizionamenti tattici, di agire oggi dando concretezza alla ricerca di giustizia e di solidarietà, scandalizzandoci per le disuguaglianze che aumentano, e dando testimonianza di onestà e correttezza.
Essere a Trieste, in fondo, è stato riaprire una finestra e far entrare aria buona. Mi auguro che dalla Settimana sociale scaturisca un messaggio sia per il Paese, che per le nostre realtà ecclesiali. Nessun ambito è immune alle difficoltà che abbiamo ben evidenziato, come il disimpegno e la scarsa partecipazione. Partire da se stessi e poi condividere con le altre realtà, questo dovrebbe essere il metodo.