Il cappuccio sulle spalle, che ha dato il nome al loro "ramo" nel grande albero francescano, qualche battuta di spirito la attira. Il cappuccino, del resto, può essere due cose: o un frate, per lo più con la barba lunga, povero e scalzo, oppure la tazza fumante di caffé e latte che - in genere - si sorseggia al bar la mattina addentando una brioche.Stessa parola, universi diversi. Ma perché non sfruttare questa simpatica assonanza a fini commerciali? Non si tratta della solita pubblicità - e ce ne sono state - che sfrutta i religiosi per reclamizzare caffè o qualsiasi altro prodotto. No, qui c'è di mezzo un "commercio" a fin di bene, che si può sintetizzare nello slogan "Un cappuccino per... un cappuccino". L'idea è venuta a un frate polacco, padre Peter Gajda, proprio mentre si gustava la sua bevanda fumante in un bar. Bastava convincere i gestori di un certo numero di locali ad aderire a una proposta di solidarietà: per ogni cappuccino ordinato al bancone, un piccolo contributo ai cappuccini impegnati in Africa, e precisamente nelle missioni della Repubblica Centrafricana e nel Ciad.Così è partita la campagna "Un cappuccino per l'Africa", che pian piano ha coinvolto numerose caffetterie in sei città polacche. Ciascuna di esse ogni mese devolverà il ricavato dei cappuccini serviti in tre giorni alle Missioni affidate alla Provincia cappuccina di Cracovia. Si è così calcolato che per ogni bevanda sorseggiata da ogni avventore, potranno essere distribuiti dieci pasti caldi ad altrettanti bambini. Niente male, per un gioco di parole.