Terremoto. Umbria: nella ricostruzione troppi vuoti, troppi ritardi
Una veduta dall’alto di Norcia, nel 2016: i lavori di ricostruzio- ne riguardano in particolare la Torre civica
Tristezza, amarezza, lentezza. Ha usato questi tre sostantivi l’arcivescovo di Spoleto-Norcia monsignor Renato Boccardo per descrivere lo stato d’animo dell’Umbria a quasi tre anni dalle prime scosse del terremoto che nel 2016 ha sconvolto l’Italia centrale, causando la morte di centinaia di persone.
Lo ha fatto ieri in una conferenza stampa a Spoleto per la festa liturgica di Benedetto da Norcia, che cade proprio oggi: «Abbiamo ascoltato tante promesse e assicurazioni – ha detto Boccardo – ma, accanto a qualche piccola realizzazione, di grande non abbiamo visto nulla. Sono più i vuoti che i pieni». I ritardi causati dalla burocrazia la fanno da padroni e il vescovo per denunciarla prende in prestito le parole di Paolo Rumiz che, marciando lungo le strade dell’Appennino terremotato, la definisce «un esempio tutto italiano di una macchina capace di uccidere più del terremoto, ostacolando i ritorni con regole e divieti. I passaggi burocratici sono un attentato alla ricostruzione».
La gente della montagna umbra è forte, abituata a convivere con le scosse e rimboccarsi le maniche ricostruire. Ma questa volta lo scoraggiamento è palese. E il vescovo si fa voce della delusione, del clima di frustrazione che si respira passeggiando a Norcia, Preci, Castelluccio, Cascia, e incide sulla vita quotidiana. In diversi hanno scelto di abbandonare per sempre la Valnerina: «Si vuole che la gente rimanga a vivere nella nostra montagna, o c’è un progetto che la incoraggia a stabilire la residenza altrove?». Per questo è urgente, accanto ai muri, ricostruire anche il tessuto umano e sociale di questo antico e ricco territorio, scrigno di spiritualità, arte e tradizioni, che si sta lentamente logorando.
Anche ieri a Castelluccio e Norcia sono state consegnate le ultime casette, ma non sono la soluzione definitiva: «L’emergenza – ha detto ancora Boccardo – finirà quando tutti potranno rientrare nelle case, nelle chiese e negli edifici pubblici. Per avere attenzione o ottenere qualcosa bisogna bloccare l’autostrada? Ma questo è il diritto della forza e non la forza del diritto. E se deve essere così, allora vuol dire che siamo gambe all’aria. Ci hanno sempre detto 'non vi lasceremo soli', ma tante richieste non hanno ricevuto risposta».
La lentezza burocratica per quanto riguarda la ricostruzione delle chiese è tangibile. Su oltre 300 edifici di culto abbattuti o gravemente danneggiati, ad oggi sono attivi 14 cantieri, tutti con danni inferiori ai 300 mila euro. Si potrebbero avviare i lavori in altre 16 chiese; di un’ordinanza del 2017 manca però la parte applicativa che pare in discussione in questo periodo. La diocesi poi ha presentato domanda per posizionare, a proprie spese, in 5 frazioni di Norcia container provvisori per consentire a chi è rimasto di celebrare l’Eucaristia; ne è stato autorizzato solo uno, per gli altri è stato giudicato troppo elevato l’impatto all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.
Naturalmente dispiaciuto il Presidente della Conferenza episcopale umbra: «Mi sembra che si sia più propensi a dare attenzione agli alberi e agli animali – la meritano, ci mancherebbe altro – che non alle persone. Non si tratta di trasgredire le leggi, tutt’altro; nell’emergenza, però, le persone non possono essere schiavizzate dalle leggi. È giusta e doverosa l’attenzione alle infiltrazioni mafiose e a minacce simili, su questo tutti noi vescovi delle diocesi terremotate siamo d’accordo; ma abbiamo anche bisogno di strumenti utili per agire». Invece è tutto fermo alla basilica di San Benedetto, icona del terremoto: ancora si stanno rimuovendo le macerie. Peggio nella concattedrale di Santa Maria, dove le macerie coprono preziose opere d’arte: «Dopo tre anni, cosa si potrà recuperare?». © RIPRODUZIONE RISERVATA Una veduta dall’alto di Norcia, nel 2016: i lavori di ricostruzione riguardano in particolare la Torre civica / Epa