Attualità

CULTURA DIGITALE. Umanizzare la rete? Una fatica da cristiani

Mimmo Muolo mercoledì 4 maggio 2011
Tre sono le sfide culturali «da non subire», per i cattolici che intendono abitare da cittadini il mondo virtuale. Tre sfide indicate dal direttore dell’Ufficio nazionale Cei per le comunicazioni sociali, monsignor Domenico Pompili, nella «indifferenza», nella «sacralizzazione della tecnica» e nel «linguaggio». E riassunte in pratica da monsignor Claudio Maria Celli nell’unico grande impegno di «permeare con il messaggio cristiano la cultura digitale». Per questo, ha aggiunto il presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, «occorre una adeguata pastorale del web».Pompili e Celli sono intervenuti ieri al seminario Parola e parole, organizzato a Roma dall’Azione cattolica, nella settimana della sua 14ª assemblea nazionale. Indifferenza, ha fatto notare il portavoce della Cei, «è il concetto dell’indistinzione, dove nulla ha valore in sé», per cui «tutto finisce per essere giocato solo sull’emotività dell’istante». Con la «sacralizzazione della tecnica, invece, l’uomo corre il rischio di cadere in nuove forme d’idolatria». Ma «la tecnica – ha aggiunto Pompili, citando Benedetto XVI – è un fatto umano e chiede di non essere abbandonata a se stessa». Infine il linguaggio: «non è qualcosa di esterno, ma la casa da abitare, il contesto vivente e pulsante nel quale si esprimono i pensieri e le inquietudini». Per questo è importante tornare a «coniugare logos e pathos», per far sì che «davvero il linguaggio diventi veicolo di relazione e non si chiuda nel circolo vizioso dell’afasia».Da questo punto di vista anche il successivo intervento di monsignor Celli ha sottolineato «le possibilità enormi delle nuove tecnologie». Il presidente del dicastero vaticano per le comunicazioni sociali ha sottolineato: «Apparteniamo a una Chiesa che non fa soltanto comunicazione, ma è comunicazione. Anzi, se non comunica non è Chiesa». Non si tratta di «comunicazione intellettuale», ha proseguito il presule, quanto piuttosto «nella sua globalità è comunicazione al mistero d’amore di Dio». «La stessa celebrazione eucaristica – ha precisato – è un momento di comunicazione, così pure l’azione caritativa, perché dice al mondo cos’è la Chiesa». Infine, «anche il silenzio è comunicazione», come ci ha insegnato Giovanni Paolo II nell’ultima parte della sua vita. Monsignor Celli ha concluso invitando dunque a una «diaconia della cultura».I punti cardine dei due interventi sono stati poi ripresi nel successivo dibattito. Il presidente dell’Azione Cattolica, Franco Miano, ha ricordato che «vivere la fede e amare la vita, tema della prossima assemblea nazionale di Ac, vuol dire proprio saper mettere insieme la Parola e le parole». Un servizio questo, ha aggiunto Rosario Carello, conduttore di A sua immagine che i giornalisti cattolici devono mettere a disposizione della comunità. «Con professionalità e competenza, anche quando operano in contesti laici», ha aggiunto Vania De Luca , Rainews24 e presidente Ucsi-Lazio. «La Chiesa, – ha puntualizzato il sociologo Michele Sorice – deve adottare tecniche, linguaggi e metodi della società contemporanea». Per il direttore dell’agenzia Sir, Paolo Bustaffa, «fare informazione religiosa non è solo informare della vita e del pensiero della Chiesa, ma anche far nascere domande rispetto al clima d’indifferenza che sembra diffuso». In sostanza, ha concluso il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio «la sfida è quella di raccontare le cose che in Italia non si dicono, ad esempio ciò che i cattolici fanno ogni giorno, ribaltando così quei "concetti storti", diffusi da certi media, e squarciando la cappa informativa sulle grandi questioni antropologiche».