Parlano la stessa lingua Pier Ferdinando Casini e Pier Luigi Bersani. In giro per l’Italia uno e in fase di allestimento della manifestazione l’altro, i due leader di Udc e Pd non hanno bisogno di incontrarsi o sentirsi oltre: la linea è già concordata e potrebbe portare alle elezioni. L’ex presidente della Camera e il segretario democratico, infatti, sanno bene e hanno condiviso con il capo dello Stato che un governo di transizione avrebbe bisogno di una maggioranza molto molto ampia, per arrivare al 2013. Nessuno vuole essere accusato di aver provocato un ribaltone. Né i partiti di opposizione sono disposti a prendersi la responsabilità di riforme lacrime e sangue. Insomma, il Pdl e la Lega – o almeno una buona fetta di entrambi i partiti – dovrebbero fare una scelta di responsabilità, dicono entrambi. Quanto al voto che porrebbe fine all’era Berlusconi, a quel punto, si potrebbe pensare anche a una mozione di sfiducia.E allora, spiega Bersani al
Tg3, le misure per fronteggiare la crisi potranno essere prese da un governo tecnico solo se «sarà autorevole e composto da persone autorevoli in Italia e all’estero, che non sia un ribaltone e che non viva sul cabotaggio di un voto che arriva o no». Non si può andare avanti con il pallottoliere: «Ci deve essere un consenso larghissimo perché altrimenti al 2013 non ci possiamo arrivare».Ma su chi potrebbe starci nel governo di transizione è ancora difficile dirlo. Bersani stoppa Di Pietro, pronto a dire di no a un esecutivo di emergenza se porterà avanti misure di macelleria sociale: «Qui nessuno vuole fare macelleria sociale. Io so che la gente è preoccupata, più di Berlusconi che dice che i ristoranti sono pieni e che la fuga dai nostri titoli è solo una mania, si aspettano che qualcuno intervenga ma in modo equo, cominciando a prendere i soldi dove sono, finalmente con equità, credo che la gente chieda questo». Anche i radicali resterebbero nell’attuale opposizione: «Non voteremo la fiducia a Berlusconi».Per fare il passo avanti di cui parlano le opposizioni, però, spiega ancora il leader pd, «stiamo valutando le diverse opzioni, dipende dai numeri e dalla situazione che ci sarà la prossima settimana. Certo in un Paese normale non accadrebbe che in una situazione di crisi così grave, si debba aspettare le decisioni di uno, di due per cambiare questa situazione». La sintonia con Casini ormai è totale. «La solidarietà ha bisogno di fatti e non di parole», spiega il leader udc. «Al Paese servono soluzioni e la contabilità parlamentare non lo è», perché «bisogna creare una fase costituente delle regole e ricostituente dell’economia». Per il numero uno centrista è indispensabile «un armistizio tra i partiti per salvare il Paese». E per far uscire l’Italia dal guado, bisogna «avere il coraggio di fare scelte impopolari assumendosene la responsabilità politica. Su questo presupposto, i partiti devono essere uniti». Dunque, senza un’ampia condivisione, il voto potrebbe essere uno sbocco naturale, per Pd e Terzo polo. Nessuno disdegna le elezioni anticipate, anche se i democratici avrebbero volentieri modificato prima la legge elettorale e soprattutto nel Pd torna prepotente tra le correnti il problema delle alleanze. Casini non recede dalla volontà di non stringere patti pre-elettorali con Bersani, Di Pietro e Vendola. Mentre avanza sempre di più nel partito del primo l’ipotesi di mollare l’alleanza di Vasto per presentarsi da soli. Dopo il voto, invece, potrebbe esserci quell’accordo tra Casini e il Terzo polo agognato dai moderati di Largo del Nazareno. Un’opzione, questa, che l’Udc non esclude affatto.