Ucraina. Il vescovo: sarà un Natale al freddo e di guerra, ma riscalderà i nostri cuori
Le bandiere in mezzo alla neve a Kiev ricordano i soldati morti nella guerra
Nessuno sa se questo Natale a suonare saranno le campane o le sirene che segnalano l’arrivo di qualche missile russo. «Più probabile gli allarmi antiaerei – sorride il vescovo Jan Sobilo –. Ma la Messa di Natale si farà. E sarà serale».
Non di notte perché il coprifuoco non lo permette. Soprattutto in una città come Zaporizhzhia che è a ridosso della linea del fronte. I colpi d’artiglieria marcano la vigilia lungo le rive del fiume Dnepr che taglia in due un capoluogo dove prima della guerra gli abitanti erano quasi 800mila. E nell’intera regione, a cui la metropoli dà il nome e che per l’80% è occupata dall’esercito di Mosca, si continua a combattere. Anche intorno alla maggiore centrale nucleare d’Europa che ha fatto conoscere Zaporizhzhia al mondo. «Non si prospetta alcuna tregua della Natività. Anzi, sarei sorpreso se Putin la proponesse o la accettasse – afferma il vescovo 60enne d’origine polacca –. Per questo dobbiamo pregare chiedendo al Signore la pace e la conversione di chi governa le sorti di interi Stati e del pianeta».
Per l’Ucraina il 25 dicembre è una sorta di “primo” Natale, o meglio un anticipo. Nel Paese dove le tradizioni religiose e le maggiori comunità cristiane seguono il calendario giuliano, il giorno della grande festa popolare è il 7 gennaio, preceduta dall’omaggio a san Nicola che lunedì scorso ha portato i regali ai bambini. «Ma stavolta anche i protestanti e gli ortodossi hanno annunciato che verranno nella nostra chiesa per partecipare alle celebrazioni di queste ore», fa sapere il vescovo.
È il Natale della Chiesa latina, piccolo gregge ma punto di riferimento per un popolo ferito. Un Natale che le bombe hanno trasformato anche in un catalizzatore anti-russo e che qualcuno ritiene possa essere preferito a quello di inizio anno come definitiva presa di distanza da Mosca. «Abbiamo superato i 300 giorni di attacchi. E tutti siamo stanchi della guerra. A cominciare dai soldati: ne conosco diversi che non sono mai tornati a casa da febbraio», racconta monsignor Sobilo.
Ufficialmente è l’ausiliare della diocesi Kharkiv-Zaporizhzhia; per la gente, è il vescovo di Zaporizhzhia dove vive ed è sempre rimasto fin dall’inizio dell’invasione russa. «La situazione si fa sempre più critica. Le continue interruzioni di corrente per i bombardamenti alle reti elettriche paralizzano la vita. Si sta fermando anche il lavoro. Poi nei villaggi più vicini ai luoghi di battaglia, mancano da almeno sei mesi elettricità e gas. La gente soffre. E siamo consapevoli che il nemico vuole metterci in ginocchio facendo leva sull’inverno. Ma, anche se può sembrare un paradosso, è proprio la guerra che qui ci fa toccare con mano lo spirito di Betlemme», sostiene il vescovo.
E spiega: «Gesù non nacque in una casa riscaldata, ma in condizioni difficili. Lo sperimentiamo anche noi. E come comunità festeggiamo il mistero dell’Incarnazione in appartamenti ghiacciati, in stanze dove non c’è luce, nei rifugi sotterranei. Però la fede ci dice che, nonostante il buio e il freddo, i nostri cuori saranno riscaldati dall’amore di Dio».
Se a Zaporizhzhia la Cattedrale può aprire le porte, nei paesi che la circondano le Messe si trasferiranno fuori delle chiese: vuoi perché possono essere un bersaglio, vuoi perché sono state danneggiate o distrutte. «Allora terremo le liturgie di Natale nelle case. Sempre che sia possibile raggiungere le diverse località», osserva Sobilo. Ma in questo caso si tratta di abitati che rimangono nel segmento ucraino dell’oblast. Non quelli nei territori in mano ai militari di Mosca. Per il Cremlino tutta la zona è già parte della Federazione russa dopo il referendum “farsa” di fine settembre che ha sancito l’annessione.
«Il risultato era noto in anticipo, come accadeva in epoca», chiarisce il vescovo. «Nelle aree controllate dalle truppe russe tutte le parrocchie sono senza sacerdote. Ai preti cattolici, sia di rito latino, sia greco-cattolici, viene impedito di svolgere il loro ministero. Uno dei pochi modi per tenere accesa la fiammella della vita ecclesiale è ricorrere a Internet. E, come succedeva durante la pandemia, la Messa viene vissuta attraverso il Web. Accadrà la stessa cosa in queste feste».
Il vescovo Jan Sobilo in un'immagine di qualche settimana fa - Gambassi
Il vescovo “porterà” il Natale anche in prima linea, fra i militari. Come fa con gli aiuti che consegna lungo le trincee, sfidando il fuoco nemico e anche le spie che tengono d’occhio i suoi spostamenti. «Dove sono gli uomini, lì c’è la Chiesa. Occorre esserci al fronte: per confessare i soldati che lo chiedono, per supportarli negli istanti più duri, per soccorrere i feriti e magari dare loro una benedizione. Molti militari mi confidano che, quando si lotta per la patria, la propria vita viene affidata a Dio».
Anche intorno agli altari di Zaporizhzhia risuoneranno le parole degli angeli che annunciano la «pace in terra agli uomini amati dal Signore». «Quando la tua casa viene distrutta, quando devi lasciare tutto e fuggire, quando non sai se sopravviverai alla notte seguente, il bisogno di pace si può quasi toccare. Ed è qualcosa di più di un cessate il fuoco che non garantisce la vera pace e che necessita anche di curare le ferite dell’anima».
Non è un caso che in Avvento la Chiesa latina ucraina abbia aperto l’Anno della divina misericordia. «La misericordia è dono di Dio. Ma può assumere il volto di tutte quelle persone che ci sostengono: da chi offre cibo, abiti o forniture mediche a chi accoglie in Europa i nostri sfollati. E ha anche il volto di quanti, in mezzo alle bombe e alla miseria, condividono il poco che hanno: ad esempio, le ultime provviste o il cibo in scatola».
Così ai piedi del Bambinello verrà posta anche «la povertà crescente che la nostra gente vive», sottolinea il vescovo. Ecco perché «è indispensabile per noi la vicinanza di tutto il mondo. Come quella dimostrata dal Papa che sostiene l’Ucraina da otto anni». Sobilo lo ha incontrato a novembre. «E ho visto nei suoi occhi quanto ami la nostra nazione e quanto sia provato per ciò che succede».
Nei primi anni degli scontri in Donbass il vescovo è stato il referente per gli aiuti pontifici al Paese. Ora è una delle “bussole” locali del cardinale elemosiniere Konrad Krajewski che è di nuovo in missione qui per portare generatori e vestiti termici.
«I doni del Papa, insieme ai suoi costanti appelli, ci dicono che non siamo soli in mezzo a una guerra che si prospetta lunga. Quando si sentono i colpi d’artiglieria o quando non c’è l’elettricità, ogni ora appare infinita». E può materializzarsi l’incubo di una catastrofe atomica intorno alla centrale contesa fra i due eserciti. «Ho avuto l’opportunità di visitare due volte l’impianto di Zaporizhzhia – confida il presule –. Se le strutture venissero intaccate, la contaminazione sarebbe peggiore che a Chernobyl nel 1986. Perciò serve l’impegno di tutti per evitare una tragedia che per certi versi sembra quasi annunciata».