Ucraina. Draghi: la guerra è entrata una nuova fase, necessario il dialogo
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ieri in collegamento con "Porta a porta"
«La guerra è entrata in una fase nuova, in cui tutti debbono parlarsi, e ora bisogna guardare avanti». Mario Draghi rientrato in Italia riferisce in Consiglio dei ministri gli esiti della due-giorni negli Stati Uniti. È rinfrancato, per un giorno le angustie di una coabitazione politica sempre più complicata restano sullo sfondo: «Il nostro ruolo è riconosciuto e rispettato, faremo la nostra parte». È arrivato il momento che Biden e Putin si parlino e l’occasione può essere il pericolo di una crisi alimentare a causa dei blocchi delle esportazioni di grani dai porti ucraini, in particolare a Odessa. «È interesse di tutti. La scarsità alimentare - ha spiegato Draghi - può innescare una vera e propria crisi umanitaria». Potrebbe essere un dossier per rompere l’attuale incomunicabilità che ostacola l’avvio di un processo di pace». Il presidente del Consiglio ha insistito sulla necessità di cercare in tutti i modi soluzioni pragmatiche alla crisi ucraina, per piccoli passi, in grado però di avviare il disgelo. Naturalmente, il grande tema è che cosa fare per sbloccare la situazione. E la preoccupazione, sul tema della crisi alimentare, Biden e il Congresso la condividono per i rischi di un trauma sociale di portata planetaria che si porta dietro. Affrontarla quindi è nell’interesse anche di Russia e Stati Uniti.
Nel report ai ministri Draghi ha riferito anche dell’apprezzamento registrato negli Usa per il lavoro che si sta facendo in direzione dell’autonomia energetica, e per l’impegno profuso nell’accoglienza dei rifugiati. Ma soprattutto, Draghi si è detto soddisfatto per le manifestazioni di stima verso l’Italia e per il ruolo di «ponte tra Europa e Usa» che esce rafforzato.
Un lavoro di tessitura in piena sintonia con Sergio Mattarella che a Strasburgo aveva impresso per primo questa accelerazione al ruolo propositivo dell’Europa, spingendo per dar vita a una nuova conferenza di pace, sul modello di Helsinki 1975. Ieri il presidente della Repubblica ha avuto una lunga telefonata con il presidente francese Emmanuel Macron, nel corso della quale, anche in virtù del ruolo di presidente di turno Ue della Francia, si è parlato di diversi dossier, dell’allargamento a Est (con l’accelerazione delle trattative in corso per l’ingresso di Macedonia e Albania) e della revisione dei trattati, che però vede ben 12-13 Paesi ancora contrari a questo processo di rafforzamento del vincolo.
Si è parlato, naturalmente, anche della guerra. Del tema dei profughi, dell’energia ed è emerso anche in questo colloquio la centralità della crisi alimentare legata ai porti, il cui sblocco diventa una priorità per l’Unione ma anche una prima prospettiva di dialogo da offrire a tutte le parti con decisione. Nel corso dell’incontro Macron ha illustrato a Mattarella anche la sua proposta di "comunità politica europea", una formula più ampia e più snella - ha spiegato - che potrebbe includere con maggiore facilità l’Ucraina. Una proposta, illustrata in questi giorni a tutte le principali cancellerie europee, sulla quale toccherà al governo esprimersi, e Mattarella si è limitato a prenderne buona nota.
Una centralità riguadagnata dal nostro Paese confermata anche dalle parole di Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino ha dato ragione a Draghi: «Noi possiamo vincere perché stiamo combattendo per la verità e non siamo da soli», ha detto intervistato da Bruno Vespa: «Sono pronto a parlare con Putin, ma senza ultimatum», ha però avvertito. E prima «i russi se ne devono andare dai territori occupati dopo il 24 febbraio, è il primo passo per poter parlare di qualcosa. So che Putin voleva portare a casa qualche risultato e che non lo ha trovato. Ma proporci di cedere qualcosa per salvare la faccia del presidente russo non è corretto», scandisce con riferimento alla Crimea, che però per il momento «si può mettere da parte».
Le forze armate russe «sono quattro volte più grandi, il loro Stato è otto volte più grande, ma noi siamo dieci volte più forti come persone perché siamo sulla nostra terra. Per noi la vittoria è solo restituire le cose nostre, per loro è rubare qualcosa degli altri. Non siamo in condizioni di parità, la Russia è più forte, ma il mondo è unito intorno a noi, e sentiamo che passo dopo passo stiamo riuscendo».
Gratitudine esprime anche a Papa Francesco. Ma dice la sua contrarietà per la scelta, alla via Crucis, di tenere vicine due donne, una russa e una ucraina, con le rispettive bandiere: «Cercate di capirlo, quella russa è la bandiera sotto la quale ci stanno uccidendo». (In realtà alla Via Crucis non erano presenti bandiere di nessun Paese, le due donne, amiche, una ucraina e l'altra russa, portavano insieme la croce di Cristo ndr)