Libia. Ucciso Bija, il guardacoste-trafficante dal 2017 in “contatto” con l'Italia
Abdurahman al-Milad, detto Bija, in una recente foto a bordo di una motovedetta donata dall'Italia
Nel corso delle indagini giornalistiche confermate dalle investigazioni giudiziarie, sono stati appurati legami tra Bija e tre torturatori arrestati in Sicilia e condannati a 20 anni di carcere ciascuno con rito abbreviato. Secondo l’accusa, che ha superato il vaglio dell’Appello e attende ora l’esito della Cassazione, i tre lavoravano a servizio di Bija e di Osama al-Kuni e avrebbero compiuto torture estreme, fino a provocare la morte dei profughi.
Abdurahman al-Milad, detto Bija, in una recente foto a bordo di una motovedetta donata dall'Italia - undefined
Abdurahman al-Milad, detto Bija, in una recente foto a bordo di una motovedetta donata dall'Italia - undefined
Nei giorni scorsi la giornalista irlandese Sally Hayden, a bordo della “Geo Barents” di “Medici Senza Frontiere”, aveva raccolto le testimonianze di numerosi migranti a lungo imprigionati e abusati a Zuara, i quali parlavano di un tale direttore della prigione chiamato “Osama”. «Quando gli venivano mostrate alcune vecchie foto (pubblicate da “Avvenire”, ndr) molte persone sembravano identificarlo - scrive l’Irish Times di Dublino - come un famigerato trafficante di esseri umani, operativo in Libia, noto come Osama al Kuni Ibrahim». E’ il cugino di Bija, anch’egli soggetto a sanzioni internazionali, ma ancora inquadrato sotto il “Dipartimento contro l’immigrazione illegale” di Tripoli, con il ruolo e lo stipendio di direttore di alcuni centri di detenzione indicati dall’Onu come luoghi nei quali avvengono «orrori indicibili». Alcuni richiedenti asilo passati dai campi di prigionia di Zuara hanno poi riferito di aver visto “Osama” spesso in compagnia di un altro uomo, prima che i migranti venissero poi stipati sui gommoni diretti verso l’Italia. Quando gli sono state mostrate alcune foto, hanno riconosciuto proprio Bija. E’ la prova che il gruppo di Zawiyah fosse riuscito a guadagnare terreno a Zuara, espandendo il proprio controllo del territorio e dei flussi migratori. Tra ottobre 2020 e aprile 2021 Bija era stato in carcere con l’accusa di traffico di esseri umani e contrabbando di carburante. Il giorno della liberazione, suggellato con la cancellazione delle accuse, la riammissione nella Marina e la promozione al grado di maggiore, a Zawiyah i festeggiamenti andarono avanti per ore, bloccando la strada costiera verso la Tunisia. Le intelligence internazionali sono in allarme, perché l’agguato contro Bija potrebbe segnare il punto di non ritorno verso una guerra di mafia che tiene insieme criminalità, politica, interessi internazionali. Già nella serata di ieri sono state segnalate sparatorie alla periferia di Zawiyah, mentre un certo numero di migranti potrebbero essere dati in pasto al mare per tornare a ricattare quei Paesi che con Bija e i suoi uomini avevano un patto non scritto per la riduzione delle partenze, un’intesa inconfessabile che adesso potrebbe saltare. Alcune fonti di intelligence non escludono che possa essersi trattato di un regolamento di conti interno, messo in atto per frenare gli appetiti del guardacoste quarantenne e mandare un messaggio a chi pensa di fare lo stesso. Perciò si guarda alle prossime ore per decifrare il movente e misurare le ricadute della clamorosa imboscata. Il governo di Tripoli fino alla tarda serata di ieri non ha commentato l’agguato. Moammar Dhawi, leader di una milizia nella Libia occidentale, ha pianto la morte di al-Milad e in una dichiarazione su Facebook ha chiesto un'indagine per assicurare i responsabili alla giustizia. Quella giustizia che migliaia di migranti torturati, uccisi, venduti come schiavi e lasciati affogare, non potranno ottenere se i “segreti di Bija” continueranno a essere protetti dalla promessa del silenzio.