Milano. "Sopraffazione" a danni di richiedenti asilo: commissariata Uber Italia
Rider a Milano
Una paga di 3,75 euro lordi a consegna, che diventano 3 euro netti se il lavoro viene fatto usando la bicicletta e 3,50 se invece si porta il cibo a casa del cliente in sella a un motorino. Datori di lavoro senza scrupoli, che avrebbero costretto i rider a turni massacranti, soprattutto durante il lockdown, nell’emergenza Covid, quando la richiesta di pasti a domicilio ha raggiunto livelli eccezionali. E proprio nel periodo di quarantena degli italiani ci sarebbe stata una valanga di reclutamenti non controllati, da Roma a Bologna, da Firenze a Monza.
Inoltre, le misere tariffe sarebbero state proposte ai lavoratori da un paio di società intermediarie del settore della logistica che li avrebbero reclutati per conto di Uber Eats Italy, compagnia per la quale però svolgevano il servizio. È quanto emerge dalle indagini condotte dalla guardia di finanza di Milano che hanno portato ieri al commissariamento della filiale italiana del gruppo americano, noto anche per il noleggio auto con servizio App.
Le ipotesi di reato che si prospettano per la multinazionale californiana sono, secondo i pm Alessandra Dolci e Paolo Storari, sfruttamento del lavoro e caporalato (art. 603/bis del codice penale). Il provvedimento di amministrazione giudiziaria della società deciso, per competenza, dai magistrati del tribunale del capoluogo lombardo, sezione misure di prevenzione, è stato eseguito dopo di una serie di perquisizioni e acquisizioni di documenti negli uffici della compagnia.
In particolare, sarebbero state due società esterne (tra cui la Flash Road City che risulterebbe indagata nel medesimo procedimento) a procacciare a Uber Italy i lavoratori, quasi tutti richiedenti asilo e provenienti da Paesi come Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh, «zone la cui vulnerabilità è segnata da anni di guerre e povertà alimentare» scrive il giudice Fabio Roia nell’atto di commissariamento. Si tratta, peraltro, di persone «discriminate e sfruttate approfittando del loro stato di bisogno», che vivono in un «forte isolamento sociale», condizione che avrebbe facilitato il reperimento di manodopera a bassissimo costo. Molti dimoravano in centri di accoglienza per migranti.
Uber Eats smentisce le accuse e spiega di aver «messo la propria piattaforma a disposizione di utenti, ristoranti e corrieri negli ultimi 4 anni in Italia nel pieno rispetto di tutte le normative locali. Condanniamo – ha aggiunto la società – ogni forma di caporalato attraverso i nostri servizi in Italia».I ciclofattorini, “anima” del food delivery, si muovono a qualsiasi ora del giorno e della notte, soprattutto nelle grandi città, per consegnare, nel più breve tempo possibile, pasti preparati da ristoranti e pizzerie direttamente a casa dei clienti che lo richiedono attraverso piattaforme online. Un’attività gestita che era già finita sotto i riflettori della magistratura milanese nell’agosto scorso con un’indagine conoscitiva nell’intero settore finalizzata a verificare la sicurezza e i contratti di lavoro.
La procura aveva chiesto alla Polizia locale di Milano di controllare anche le condizioni igienico-sanitarie dei contenitori per i cibi e il rispetto delle norme che dovrebbero tutelare i lavoratori, quasi sempre “a cottimo” (“più consegno più guadagno”) e quindi senza contribuzioni né polizze contro gli infortuni.Monitorati pure gli incidenti stradali nei quali sono stati coinvolti i fattorini in bicicletta, per valutare eventuali responsabilità penali da parte dei datori di lavoro.«Una vergogna la vicenda Uber Italy. È inqualificabile pagare un lavoratore 3 euro a consegna. Sono forme di schiavitù e di sfruttamento del lavoro e della dignità della persona che il sindacato deve contrastare, obbligando le imprese ad applicare ai rider il contratto della logistica. Ha fatto bene il Tribunale a intervenire» ha dichiarato la segretaria generale Cisl, Annamaria Furlan.