Attualità

Europarlamento. Tv e web, le regole dell'Europa per i minori

Daniele Zappalà, Strasburgo mercoledì 3 ottobre 2018

(Ansa)

In Europa bisogna tutelare i minori esposti sempre più precocemente al flusso d’immagini sui social, sui siti Internet collettori di video, come YouTube, o sui nuovi canali digitali su abbonamento, come Netflix. In termini d’impatto nella vita quotidiana, è forse l’aspetto più pregnante del nuovo pacchetto di regole sui media audiovisivi varato ieri all’Europarlamento di Strasburgo, dopo un’intesa raggiunta dai due principali gruppi dell’emiciclo, popolari (Ppe) e socialisti (S&D).

Grazie alle nuove norme, ogni cittadino potrà trasformarsi in una “sentinella” per far rimuovere i contenuti nocivi per i minori, oltre a quelli illegali, come filmati pedopornografici, istigazioni al terrorismo, proclami razzisti. Il principio di filtri a monte, sotto la responsabilità dei diffusori, non è passato. Inoltre sui nuovi telefonini regalati ai figli, i dispositivi di controllo parentale non saranno attivati preventivamente come in Gran Bretagna. Ma dopo lunghe trattative fra Europarlamento e Consiglio il compromesso raggiunto contiene novità sostanziali, in particolare sul fronte degli obblighi a carico delle imprese e dei parapetti istituzionali.

Allineandosi con molti obblighi già in vigore per i canali televisivi tradizionali, anche società o dispositivi come Facebook, YouTube, Dailymotion, Netflix, Apple tv, Amazon video o Google play dovranno dotarsi di meccanismi trasparenti per garantire agli utenti il diritto di segnalare video in violazione della nuova direttiva Ue. Dei veri e propri sistemi d’identificazione e rimozione immediata delle mele marce nel paniere, con l’obbligo per le società di fornire spiegazioni dettagliate sul seguito dato alle segnalazioni.

In assenza di risposte, i cittadini potranno rivolgersi più facilmente all’Authority nazionale di vigilanza, che potrà sanzionare le società audiovisive. Inoltre, gli adulti potranno «predisporre un software di filtraggio sugli apparecchi dei propri figli e disporre di sistemi di verifica dell’età per i contenuti nocivi», ha precisato la relatrice tedesca Sabine Verheyen (Cdu).

Il campo d’applicazione della direttiva riguarderà tutti i dispositivi prevalentemente audiovisivi, ad esclusione di contenuti più isolati, come i videoclip inclusi nei siti Internet giornalistici (a meno che non si tratti di sezioni video distinte), o le immagini animate come quelle del tipo Gif. Dopo la trasposizione della direttiva nelle legislazioni nazionali, i fornitori di servizi audiovisivi saranno soggetti alle regole dello Stato in cui hanno la loro sede principale o dove lavora una parte significativa dei dipendenti. Gli Stati Ue dovranno invece stilare e aggiornare la lista completa degli operatori sul proprio territorio, in modo da costituire una banca dati centralizzata a disposizione di ogni authority di vigilanza.

Ammettendo le imperfezioni del testo, l’eurodeputata Silvia Costa (Pd), coordinatrice del gruppo S&D in commissione Cultura, ha tuttavia definito la nuova direttiva come «un enorme passo in avanti verso la modernizzazione del quadro giuridico del nuovo scenario digitale», con l’obiettivo innanzitutto di «tutelare le persone e la loro dignità sulla rete». L’Italia, ha sostenuto, potrà far valere il proprio quadro più restrittivo per la tutela dei minori.

Fra le altre norme della direttiva, spiccano quelle per proteggere e promuovere i contenuti audiovisivi europei, che dovranno rappresentare almeno il 30% nei cataloghi dei diffusori. Il testo impone pure tetti più restrittivi per le pubblicità, che non potranno superare il 20% del tempo totale durante il prime time serale. E scatterà anche un contributo alle produzioni cinematografiche europee sia tramite investimenti diretti in contenuti o via contributi ai fondi audiovisivi nazionali, in modo proporzionale ai ricavi ottenuti in quel Paese o legati al Paese del pubblico cui si rivolgono. Le nuove regole attendono il definitivo avallo del Consiglio dell’Unione europea, dopo il quale gli Stati avranno 21 mesi per la trasposizione nelle rispettive legislazioni.