«I numeri sono drammaticamente chiari: il nostro Pianeta è a rischio. A rischio è il nostro territorio, sono le nostre risorse vitali come acqua e cibo. A rischio è l’uomo». Gian Luca Galletti prende l’agenda e sottolinea con un pennarello rosso una data: 22 aprile, 45ª giornata mondiale della Terra. Poi, a bassa voce, rilancia l’allarme: «Serve un cambio di passo, di mentalità. E questa giornata può avere una grande importanza per sensibilizzare, per rendere possibile la svolta». Una pausa precede un appello. Il ministro dell’Ambiente quasi lo sillaba. «Tutti devono capire. Ognuno di noi deve capire. C’è un’urgenza assoluta di fare subito qualcosa, senza scaricare sulle prossime generazioni una situazione che domani, se non affrontata in maniera decisa, sarà fuori controllo». Le cifre dell’emergenza prendono forma dietro gli ultimissimi rapporti internazionali. Il periodo che va dal 1983 a oggi è stato il più caldo degli ultimi quattordici secoli. I primi effetti sono già rilevabili nella crescente acidificazione degli oceani, nello scioglimento dei ghiacci artici e nella minore resa dei campi agricoli in diverse aree del mondo. Gli scienziati stimano che - senza un cambio di rotta - a fine secolo la temperatura media del globo aumenterà di 4-5 gradi. Il mondo si interroga. Si chiede come evitare «effetti irreversibili». Si dà anche una risposta: bisognerebbe mantenere l’impennata della temperatura al di sotto della soglia dei 2 gradi. Ma l’allarme si allarga ad altri fronti. C’è l’inquinamento. C’è il cibo. Le considerazioni si accavallano. Uno: ogni anno che passa, l’emissione di gas serra cresce di un miliardo di tonnellate. Due: un terzo del cibo prodotto nel mondo finisce nella spazzatura, bruciando così 750 miliardi di dollari (cioè l’equivalente del Pil di Turchia e Svizzera assieme). Così il mondo muore.Serve una svolta e il 2015 in questo senso sarà un anno decisivo. «Dietro la grande questione ambientale - evidenzia Pierluigi Sassi, rappresentante italiano dell’Earth Day Network e presidente di Earth Day Italia - si agitano alcune tra le più significative tragedie umanitarie. Non c’è guerra al mondo, non c’è situazione di fame e di disperazione sul nostro affannato pianeta, che non sia connessa all’ingordigia dell’uomo nell’iniquo sfruttamento delle risorse naturali». Sassi va avanti. Si sofferma sulle guerre legate al «petrolio, all’acqua, ai minerali preziosi, ai territori ed ad ogni altra ricchezza che la natura ci regala». Riflette sulle «gravi conseguenze sul clima che rischiano ormai di diventare irreversibili se le grandi potenze economiche non vorranno imporsi dei vincoli stringenti sulle emissioni di CO2». Quindi mette in fila i prossimi appuntamenti del 2015. Tutti decisivi. «A settembre, a New York, verranno rivisti gli obiettivi del millennio ed è urgente che si decida di contrastare lo scandalo della fame che uccide milioni di persone ogni anno. A Parigi, poi, a dicembre, ci sarà la conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la COP21 alla quale il Santo Padre indirizzerà la sua Enciclica sulla Custodia del Creato». Non basta. «L’Italia con l’Expo di Milano 2015 – chiosa Sassi – gioca un ruolo da protagonista in questo teatro internazionale e speriamo davvero che gli unici frutti dell’Esposizione Universale non siano gli scandali di chi dalle tragedie ambientali cerca solo di trarre profitto». Rapporti e dati. La vita di 1,6 miliardi di persone dipende dalle foreste eppure - secondo l’ultimo rapporto curato dalla FAO, il <+CORSIVOA>Forest Resource Assessment<+TONDOA> - ogni anno se ne perdono 13 milioni di ettari. In un decennio abbiamo "cancellato" 940 mila chilometri quadrati di foreste: un’area grande come l’intero Egitto. Tutti - dicevamo - sono chiamati a fare qualcosa di concreto. A cominciare dalla società civile e dalla politica. Il sindaco di Roma batte un colpo: «La nostra parte di mondo deve porsi una domanda fondamentale: quale modello di sviluppo e produzione vogliamo per il futuro? Noi – dice Marino – abbiamo già voltato pagina rispetto al passato. E messo tra le priorità la difesa del verde pubblico e il contrasto a progetti di espansione privi di una integrazione con il resto del territorio. È un segnale chiaro e una scelta politica definita: no al consumo del suolo, sì alla rigenerazione urbana e alla difesa del verde». Il presidente della Regione Lazio fissa un secondo punto. «È il momento di produrre uno scatto nella cultura dello sviluppo sostenibile, cercando di andare oltre una visione emergenziale. Proteggere l’ambiente, creare forme innovative di interazione tra sistemi urbani e natura, favorire nuove dinamiche nell’agricoltura o nella gestione dell’energia, significa rispettare la Terra, innanzitutto, ma significa anche costruire occasioni di sviluppo, nuovo lavoro, opportunità economiche». Una nuova mentalità sembra farsi largo. Anche nello sport. E, il presidente del Coni Giovanni Malagò guardando alle Olimpiadi di Roma 2024 fissa un punto. Anzi detta una condizione. «Noi riteniamo che la cornice della candidatura, a partire dall’utilizzo delle strutture esistenti, vada fatta nell’assoluto rispetto dell’ambiente. Senza non si deve nemmeno pensare di andare avanti».