Papilloma virus. Tutte le risposte (e i dubbi) sull'Hpv
La scienza lo ha ormai dimostrato con chiarezza: il virus del papilloma (Hpv) – che si stima circoli nell’80% della popolazione mondiale e che si trasmette attraverso i rapporti sessuali – si associa al rischio di tumore al collo dell’utero. Significa che non sfocia necessariamente nel cancro, anzi. A dire il vero generalmente viene “smaltito” dal sistema immunitario. Ma quando questo non avviene, l’Hpv può causare lesioni in grado, alla lunga, di sfociare in infezioni genitali e tumori. In Europa il 95% dei casi di cancro al collo dell’utero è provocato da 11 tipi di Hpv ad alto rischio, ogni anno responsabili di 34.700 casi di cancro cervicale. Solo in Italia se ne contano 3mila, di cui mille letali. Undici anni fa la svolta, con la diffusione di un vaccino che la maggior parte dei ricercatori definisce efficace e sicuro e che è in grado di prevenire migliaia di potenziali decessi. Ad oggi è utilizzato in 132 Paesi e oltre 208 milioni di dosi sono state distribuite in tutto il mondo per oltre 65 programmi di immunizzazione. Non hanno invece «basi scientifiche», secondo i medici, le paure circa i potenziali effetti collaterali di cui si è parlato alla trasmissione Report.
Non è la prima volta, tuttavia, che sul vaccino vengono sollevate obiezioni, in particolare all’interno della comunità scientifica nostrana. È il caso, per esempio, delle posizioni di Michele Grandolfo, epidemiologo dell’Istituto superiore di sanità quando nel 2006 si decise di promuovere la vaccinazione antipapilloma sulle bambine in Italia e che già allora sottolineò come «l’efficacia dei vaccini è stata verificata considerando la riduzione di incidenza delle displasie gravi e non del tumore del collo dell’utero, per la qual cosa è necessario attendere 30-40 anni». Come dire, insomma: il vaccino in realtà è inutile. La preoccupazione maggiore di Grandolfo era poi che il vaccino potesse scoraggiare, come per esempio avvenuto in Australia, le donne dall’effettuare il pap test, che resta invece l’unico metodo davvero affidabile per prevenire il cancro della cervice. Perplesso da sempre anche Giuseppe Remuzzi, farmacologo all’Istituto Mario Negri, che più volte ha sottolineato come uno dei due vaccini oggi in circolazione protegga in realtà soltanto da pochissimi degli oltre cento tipi di virus Hpv circolanti e come la scelta dell’età cui somministrare il vaccino – 12 anni – sia eccessiva se si considera che la probabilità di contrarre il virus è direttamente legata all’avvio della vita sessuale attiva. Una perplessità, quest’ultima, condivisa da sempre anche dall’Associazione dei medici cattolici secondo cui la proposta vaccinale risolve il problema della prevenzione solo in minima parte: al resto deve pensare sempre e comunque l’educazione.