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IL GEOLOGO. «Ma tutta l’Italia è a rischio»

Luca Liverani venerdì 1 giugno 2012
​«I tempi della politica, purtroppo, sono diversi da quelli degli scienziati. Quello che per noi è immediatamente comprensibile, fatica a passare nella normativa». Come le regole per le costruzioni antisismiche, spiega Paride Antolini, che hanno impiegato un anno e mezzo per diventare operative. Solo cioé dopo i 308 morti dell’Aquila. Geologo di Cesena, membro del Consiglio nazionale dei geologi, conosce bene la sua terra. Anche, spiega, grazie alle ricerche di idrocarburi avviate da Enrico Mattei. «L’Italia è tutta a rischio sismico – spiega l’esperto – e bisogna decidersi una buona volta ad avviare un piano nazionale di messa in sicurezza dell’edilizia abitativa esistente. Noi non la finiremo, ma i nostri figli forse sì. La vita umana è o no una priorità?».Che Ferrara dovesse prima o poi tremare di nuovo, come nel 1570, voi geologi lo dite da almeno 20 anni. Perché non è stata classificata correttamente?Sì, 500 anni dal punto di vista geologico sono pochissimi. Per noi era chiaro che il sisma poteva ripresentarsi. Conoscendo la struttura del sottosuolo e l’evoluzione dell’Appennino, dire che l’area è sismica è corretto. Prevedere una data invece non è possibile.Cos’è cambiato nella classificazione del rischio?Fino al 2003, dal punto di vista della normativa per l’edificazione, la regione non era classificata come sismica. I geologi in realtà già sapevano, per la storia e la struttura del sottosuolo, che era a rischio. L’ordinanza del presidente del consiglio dei ministri del 20 marzo 2003 ha dato una prima classificazione, in una scala da 1 - la più pericolosa - a 4. Ma quella era classificata come zona 3, «comuni interessati da scuotimenti modesti». Poi ci si è resi finalmente conto che andava riclassificata, anche sotto la spinta delle indicazioni europee. Il 14 gennaio 2008 è arrivato il decreto ministeriale con le «norme tecniche per le costruzioni». Ma sono entrate in vigore dal 1° luglio 2009. Cioè sotto l’impulso della tragedia di aprile 2009 a L’Aquila.Quali sono le conseguenze concrete? Che da allora in Italia si progetta in maniera effettivamente antisismica. Non si ragiona più per macrozone, ma per coordinate geografiche, su "maglie quadrate" di 5 chilometri di lato. Una classificazione molto più rigorosa. Se i capannoni industriali sono stati progettati prima, non c’è da meravigliarsi se sono crollati.Perché gli allarmi dei geologi sono ignorati?La politica ha tempi troppo lunghi, noi siamo solo un tassello del dibattito culturale. Il problema è più ampio. Dopo un’alluvione, una frana, un’eruzione con distruzioni e lutti, ci dobbiamo chiedere: abbiamo fatto di tutto per evitare che potesse succedere? Non c’è prezzo che valga la perdita di una vita umana. La realtà amara è che serve la disgrazia per far passare alcuni concetti. Come per l’inquinamento, l’amianto, il petrolchimico a Marghera. E il problema non è solo come si costruisce, ma dove.Cosa intende dire?L’Emilia Romagna ha un consumo enorme di territorio, la "macchia edificata" negli ultimi vent’anni si è espansa in modo incredibile. Anche in aree non sicure, come i fiumi. In Liguria e Toscana s’è visto il risultato. È un problema culturale. Se la priorità è la vita umana, tutto passa in secondo piano. A parte Sardegna e Puglia meridionale, tutta Italia è più o meno sismica......Ma solo una piccola parte del patrimonio abitativo è antisismico.Il problema è proprio intervenire sull’esistente. Milioni di persone corrono gli stessi rischi dei ferraresi. I lutti ricorrenti sono provocati dal crollo degli edifici vecchi, per lo più di in mattoni, costruito tra dopoguerra e anni ’70.Qual è allora la cosa da fare?Un piano nazionale di investimenti per il patrimonio edilizio esistente. O aspettiamo che tutto venga ricostruito per vetustà, ma servono secoli, oppure si deve cominciare a mettere le case al riparo almeno dai crolli. Costa? Parliamo di vite umane. Ogni due o tre anni c’è un sisma, un terremoto, un alluvione. Ragioniamo - e spendiamo - sempre in un’ottica di breve periodo. Nessuno comincia ad affrontare il problema. La nostra generazione non ha la capacità economica? Forse, ma cominciamo. Almeno per i nostri figli.