Ricerca. Tumori, nei linfonodi le «spie» che prevedono il rischio recidiva
Il decorso di un paziente operato di melanoma, e quindi la possibilità che lo stesso sviluppi o meno una successiva recidiva, non dipende dall’aggressività del tumore ma dalla nostra risposta immunitaria. È dunque l’organismo che condiziona le conseguenze di questa malattia – la più pericolosa tra i tumori della pelle – e che ci aiuterà a identificare i rischi di recidiva. A questo risultato, che avrà un impatto sui protocolli terapeutici, si è arrivati grazie a uno studio pilota dell’Istituto nazionale dei Tumori (Int) di Milano, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Cancer Research. Il gruppo di ricerca guidato dalla biologa Monica Rodolfo, dell’unità di Immunoterapia dell’Int, attraverso l’analisi molecolare in biopsie di 'linfonodi sentinella' (quelli più vicini all’area del tumore e più a rischio di metastasi), ha scoperto che la molecola 'Cd30' risulta più espressa nelle cellule immunitarie linfonodali e in quelle circolanti con malattia aggressiva: queste cellule mostrano una funzione alterata, indebolita, e sono quindi segno di immunosoppressione o di esaurimento dell’immunità antitumore. Si tratta di una spia di grande importanza per i medici che, grazie allo sviluppo clinico di questo metodo, potranno identificare quali pazienti, dopo l’intervento chirurgico di rimozione del melanoma, presenteranno un elevato rischio di recidiva e che quindi saranno sottoposti a ulteriori terapie; terapie, invece, che verranno risparmiate a quei pazienti guariti con il solo utilizzo della chirurgia, per i quali altri trattamenti farmacologici risulterebbero a questo punto inutili oltre che tossici. «Questo studio – spiega Marco Pierotti, direttore scientifico dell’Irccs Int di Milano – si colloca nella tradizione di ricerca immunologica e di immunoterapia dei tumori, caratteristica di questo Istituto, ma integrata da innovativi approcci molecolari volti a comprendere i complessi rapporti che si instaurano tra il tumore e l’organismo che lo ospita. Riconoscere in ciascun paziente – aggiunge – se il suo sistema immunitario reagisce al melanoma o lo subisce, consentirà di modulare gli interventi per ottimizzare efficacia terapeutica e corretta allocazione di risorse economiche». La molecola Cd30, afferma Monica Rodolfo, «potrebbe diventare un nuovo bersaglio terapeutico per i pazienti con melanoma». Inoltre, essendo già disponibili farmaci che agiscono sul marcatore Cd30, «è possibile immaginare che questa nuova strategia terapeutica possa essere studiata nei pazienti in tempi brevi». Sfruttando la genomica, lo studio del-l’Int ha preso in esame i linfonodi sentinella di 42 pazienti affetti da melanoma con differente aggressività. I ricercatori miravano a identificare biomarcatori in grado di individuare i pazienti ad alto rischio di recidive. Per fare questo, spiega una nota Int, sono stati confrontati «i linfonodi sentinella di pazienti in cui il tumore aveva avuto una recidiva con quelli di pazienti senza recidiva fino a cinque anni dopo la rimozione chirurgica del tumore primario». In aggiunta, «i ricercatori hanno raccolto campioni di sangue da 25 pazienti con melanoma di stadio 3 e 4 e li hanno comparati con quelli di donatori sani combinati per età e sesso ». Il team di ricerca ha scoperto che il linfonodo sentinella dei pazienti con recidiva dopo cinque anni presentava cellule immunitarie con alterazione dell’espressione di geni coinvolti nei processi di sopravvivenza, proliferazione e metabolismo cellulare. Il marcatore Cd30, inoltre, era più presente nei linfonodi dei pazienti con recidiva del tumore e in quelli con stadio della malattia avanzato. Lo studio condotto a Milano è stato finanziato dall’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) e dal ministero della Salute.