I soliti truffatori non si fermano davanti a nulla. Nemmeno davanti alle tombe.
Vecchie cappelle funebri svuotate dei resti mortali, scassinate e rivendute all'insaputa dei titolari. È questo il "traffico" che avveniva nel cimitero di
Poggioreale, a Napoli, scoperto dalla Guardia di finanza. Coinvolti 17 persone, tra cui persino un notaio destinatario di una misura cautelare di sospensione dell'attività per sei mesi.
Ecco la storia. Dopo un lungo periodo di assenza dalla città, un famiglia va al cimitero di Poggioreale a trovare i cari defunti. Ma quando arriva davanti alla cappella di famiglia, scopre che le salme dei parenti non ci sono più e che la struttura è stata lussuosamente ristrutturata e chiusa con un nuovo cancello di ingresso.
L'episodio, subito denunciato alle autorità, è al centro dell'inchiesta che ha portato alla scoperta di un giro di truffe nel cimitero partenopeo, con vecchie cappelle liberate dai resti mortali e rivendute all'insaputa dei legittimi titolari.
Tra i 17 indagati ci sono due imprenditori del settore
funerario sottoposti a obbligo di firma sin dal 2012, e un notaio nei
cui confronti è stata eseguita oggi la misura cautelare di sospensione per sei mesi dall'attività. Secondo il gip del tribunale di Napoli il giro di truffe si era consolidato divenendo un vero e proprio "sistema", anche grazie alla
presenza di informatori che segnalavano i possibili obiettivi
tra cappelle e loculi - alcuni risalenti all'800 - che
difficilmente sarebbero stati reclamati dagli aventi diritto.
L'organizzazione proponeva anche on line i propri 'prodottì:
una cappella, poi sequestrata, era stata offerta a 800mila euro
su un noto sito di vendite immobiliari. In un altro caso un
manufatto funebre fu venduto per 245mila euro, contro i 40mila
dichiarati nell'atto di compravendita.
Nei mesi scorsi, sulla base degli elementi che emergevano
dall'inchiesta, il Comune di Napoli ha attivato la revoca delle
concessioni - e la conseguente riacquisizione al patrimonio
pubblico - di una novantina di manufatti funerari ceduti
illegalmente, il cui valore complessivo è di gran lunga
superiore ai 2,5 milioni di euro rilevati dagli atti di
compravendita.
Secondo gli inquirenti, le attività criminose
della banda erano proseguite anche dopo l'apertura
dell'inchiesta: Tammaro e Reparato sono accusati di aver
prodotto false prove al tribunale del Riesame, alterando le
annotazioni riportate sul registro comunale di deposito delle
salme.