Trapani. Il bunker, il bar e il supermercato: i luoghi blindati di Messina Denaro
Il luogo in cui è stato trovato il secondo covo di Matteo Messina Denaro
“Cu’ è riccu di amici, è scarso di guai”, ripete un anziano di Campobello che con un vecchio adagio siciliano riassume il metodo Messina Denaro: fedelissimi della sua cerchia per gestire la latitanza, professionisti con ottime entrature per occuparsi di affari e salute.
L’altro covo scoperto ieri lo conferma. Era in casa di Errico Risalvato, assolto in uno dei tanti processi a Messina Denaro. Un’indagine del 1998 che valse al padrino latitante una condanna a 15 anni. Tra i condannati vi era stato anche Giovanni, fratello di Errico, che in diverse intercettazioni si mette “a disposizione” della latitanza del boss, il quale però sembra rifiutare l’offerta.
Le prove gli investigatori le hanno scovate in camera da letto.
Aprendo un grande armadio, hanno trovato il solito carosello di grucce e abiti in ordine, ma spostando il fondale in legno è apparsa una porta blindata. Ad aprirla è stato lo stesso Errico Risalvato con le chiavi che gelosamente custodiva. All’interno gli investigatori hanno rinvenuto un tesoretto di monili e carte. Soprattutto hanno trovato alcune scatole per documenti completamente vuote, come se qualcuno le avesse fatte sparire in fretta subito dopo la cattura di Messina Denaro a Palermo.
Il piccolo bunker, dentro al quale si sarebbe potuto sopravvivere al massimo per qualche giorno, probabilmente il boss se l'era fatto realizzare per nascondere gioielli, pietre preziose e argenteria trovati che ora dovranno essere sottoposti ad una perizia che ne accerti autenticità e valore.
Il blitz del Ros dei carabinieri e del Gico della guardia di finanza è scattato nel primo pomeriggio, quando le indagini congiunte, basate anche sull’esame di patrimoni personali e forse su una soffiata, hanno condotto i finanzieri nella stretta via Maggiore Tomaselli. L’altro rifugio, l’appartamento senza cavità nascoste né doppi fondi, quello di via San Vito, si trova a meno di 900 metri, ma in periferia e a un minuto d’auto dall’autostrada.
L’esistenza di almeno due “covi caldi” racconta molto delle protezioni di cui il mammasantissima di Castelvetrano ha goduto e del suo senso pratico. La collocazione dei due ripari avrebbe così consentito al boss di spiazzare i suoi cacciatori passando dall’uno all’altro percorrendo pochi metri tra i vicoli più difficili da presidiare.
A proteggerlo anche un certo grado di omertà. «Chi l’ha conosciuto in gioventù, e tra i suoi coetanei di qui molti hanno avuto l’occasione di vedere il giovanissimo Messina Denaro che a Campobello aveva amicizie ed assidue frequentazioni, è impossibile che incontrandolo per strada non l’abbiano riconosciuto». L’osservazione di Massimo, un quarantenne indignato ma per niente sorpreso dai silenzi di Campobello, non è infondata.
Intorno a via San Vito, nella casa intestata a Bonafede, molti dicono di non averlo mai visto circolare, ma poi commessi dei negozi, baristi, vicini di casa, ci raccontano sottovoce che Messina Denaro a casa non preparava neanche il caffè. Andava a prenderlo nel bar San Vito, da lunedì “chiuso per ferie”. Due chiacchiere, poi la spesa al supermercato e di nuovo in casa. I più giovani e gli adolescenti che in motorino seguono il circo mediatico, ammettono che forse «quelli più grandi di noi magari lo potevano riconoscere, come succede quando uno incontra un vecchio amico anche dopo vent’anni».
Di sicuro c’è che niente è come sembra. Dietro le facciate tutte uguali dei quartieri di case basse, costruite dopo il terremoto del Belice, neanche le carte bollate dicono tutto. Perciò in serata i carabinieri hanno avviato un’operazione d’altri tempi, dragando casa per casa.
I militari hanno bussato per un improvvisato censimento di residenti, affittuari, posti auto, intestazione delle forniture energetiche e ogni altra informazione che può servire a una mappatura più attendibile, e intanto lasciar intendere che sarebbe meglio dare una mano alle indagini anziché finire nella lista dei complici silenziosi.
Mentre uomini del Ros sono entrati in un'abitazione nella centralissima via Roma, in casa di Laura Bonafede, figlia del boss defunto Leonardo e cugina di Andrea Bonafede, l’uomo che ha prestato l’identità a Matteo Messina Denaro. Il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido si è intrattenuto in via Toselli poco più di due ore insieme al colonnello Arcidiacono, che ha continuato a guidare le operazioni sul posto.
Si allunga, intanto, la lista dei fiancheggiatori finiti sotto inchiesta. Oltre a Luppino, l’accompagnatore arrestato in flagranza, sono indagati Andrea Bonafede, il geometra di Campobello che ha prestato l'identità al boss e due medici. Uno è di Trapani, Filippo Zerilli, primario di oncologia. L'altro è Alfonso Tumbarello, il dottore di Castelvetrano che lo aveva in cura.
Prima di lasciare Palermo per raggiungere il supercarcere dell’Aquila, l’ex latitante ha incontrato il procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia. Lo ha confermato il magistrato: «Ho avuto un breve colloquio con Matteo Messina Denaro, è durato qualche minuto. Gli ho spiegato che è nelle mani dello Stato e gli ho detto che avrà piena assistenza medica. Lui ha ringraziato». Il boss di Castelvetrano è già stato sottoposto a visite mediche. Nulla di preciso viene fatto trapelare sulle sue condizioni. La chemioterapia, secondo quanto si è appreso, sarà effettuata in uno spazio riservato in carcere. Oggi a Caltanissetta si celebra l’udienza per uno dei processi per le stragi del 1992 e Messina Denaro potrebbe partecipare in videocollegamento.