Attualità

La memoria. In trentamila ricordano don Diana

Antonio Maria Mira mercoledì 19 marzo 2014
Trentamila, un fiume colorato e allegro, ha attraversato Casal di Principe per ricordare don Peppe Diana, il parroco ucciso a 36 anni dalla camorra il 19 marzo 1994. «Con quei cinque colpi pensavano di aver ucciso la speranza – dice Salvatore Cuoci del Comitato don Peppe Diana – ma non è stato così. E oggi possiamo salire sui tetti ad annunciare parole di vita come ci invitava a fare don Peppe». Memoria e impegno portate nelle strade e nelle piazze da decine di scuole e associazioni. Al ritmo di «don Peppe, don Peppe». E poi sotto casa del sacerdote con mamma Jolanda affacciata in lacrime. «Questa volta c’è tanta Casale», commenta sorridente Peppe Pagano, nella Nco, una delle realtà di antimafia sociale sui beni confiscati. E un segno forte è la presenza di tanti sindaci della Campania, fasce tricolore e gonfaloni. Assieme al presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, al procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. Don Luigi Ciotti ricorda. «Io vengo qui da venti anni, e non posso dimenticare quando eravamo molto pochi. Oggi siamo davvero tanti. Ma – avverte - questa non deve essere una cerimonia. Il modo migliore per fare memoria è impegnarci 365 giorni all’anno». Perché, dice ancora il presidente di Libera, «don Peppino era un testimone non solo di idee ma del Vangelo, e questo non possiamo dimenticarlo, capace di saldare la terra con il cielo. La sua fedeltà la Vangelo era piena di amore e lui l’ha pagata con la vita». Ma, insiste, «don Peppino è ancora vivo, i suoi sogni, i suoi progetti devono continuare sulle nostre gambe perché la vita vinca sempre. Anche perché le mafie sono tornate forti sotto altre forme. La strada è ancora lunga – conclude don Luigi – e il nostro don Peppino ci spinge. Dacci una mano Peppino. E chiediamo anche a Dio di darci una bella pedata». E lo stesso appello che fa dal palco un giovane a nome della associazioni casalesi. «Don Peppe il tuo popolo oggi è qui, prendi per mano tanti giovani che hanno voluto restare e che vogliono solo un lavoro onesto e lo sviluppo della propria terra. Ora siamo davvero un popolo libero che non ha più paura».