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L'intervista. Tremonti: «Camaldoli batte Davos 3 a zero»

Angelo Picariello sabato 20 gennaio 2024

«Camaldoli batte Davos tre a zero, palla al centro ». Per Giulio Tremonti «a questa altezza di tempo il modello costituzionale più ragionevole è quello confederale e nessuno negherà che la Svizzera, che ha un modello federale equilibrato fra centro e periferie, è uno Stato». Ma per andare in questa direzione l’Europa deve ripartire dai valori e, quindi, giudica «straordinaria» l’idea del cardinale Zuppi di una “Camaldoli europea”. Per il presidente della Commissione Affari Esteri e comunitari della Camera «viviamo un’epoca rivoluzionaria simile al Cinquecento, con la scoperta dell’America e l’invenzione della stampa. Quello fu il secolo di un Mundus furiosus – dal titolo di un suo libro dell’epoca, ndr -, si passò da Tolomeo a Copernico, a Galileo, fino a Cartesio con il suo « cogito ergo sum» . Ma tutto avvenne in almeno un secolo, mentre le novità rivoluzionarie di oggi sono scaturite nell’arco di 30 anni: la scoperta economica dell’Asia, con i conseguenti effetti politici; e poi la Rete e, sulla Rete, l’intelligenza artificiale, che porta a un inquietante digito ergo sum ».

Inquietante, lei dice.

Diciamo problematico. Ci sono prospettive molto positive per la scienza medica, ma per le strutture sociali è l’opposto: scompaiono quote enormi di lavoro. In questi 30 anni ho scritto diversi libri sulla globalizzazione, sui suoi rischi, sulle guerre, diciamo che non posso essere definito globa-lista, mentre ora assistiamo alla caduta delle strutture intellettuali e mentali del globalismo. La globalizzazione è stata l’ultima ideologia del Novecento, che fa dire ad Obama, all’atto di insediamento: «Non abbiamo il passato, ma solo il futuro».

Ma torniamo all’Europa.

La guerra di Putin ha interrotto la tendenza dell’Europa, da De Gaulle a Giovanni Paolo II, a scorrere dall’Atlantico agli Urali, imponendo unità e nel contempo un’identità dal Baltico al mar Nero. Ma l’unità impone un cambiamento della macchina politica europea, un diverso hardware costituzionale e un diverso software politico: in un’Europa che andrà a 35 non si potrà continuare con i poteri di veto-voto attribuiti a ciascuno Stato, avendone fra l’altro in media, ogni anno, otto che votano e quindi bloccano, rinviano. In uno scenario di guerra come questo l’Europa deve essere forte e dovrà concentrarsi su politica estera e Difesa. Ora, però, c’è un’Europa a Ovest e una a Est. La prima è quella perfetta, delle dottrine fluide, dalla cancel culture, della Rule of law, sacralmente definita dalla Corte di Lussemburgo. Poi c’è l’altra Europa, a Est, dal Baltico al mar Nero, dove sono ancora forti le tradizioni e, come diceva Churchill, le tradizioni sono importanti soprattutto nel momento del pericolo.

Sono due Europe in contrasto?

L’Europa deve combinare la perfezione dell’Ovest con la tradizione dell’Est, che evolverà. Ci vuole buon senso, comprensione dei fenomeni, non esiste solo il mercato. Ma sentendo Von der Leyen a Davos, martedì, il suo è un discorso che colloca il mercato sopra la politica, mentre io sostengo l’opposto: visto che il mercato o è finito o in parte ha fallito, meglio tornare ai principi della politica, della morale e anche alla tradizione.

Nella coalizione non tutti concorderanno su “meno mercato”.

Sto al programma, che chiede più Europa. Di queste cose, d’altronde, parlo da trent’anni, la parola “mercatismo” l’ho inventata io, mi sono solo dimenticato di passare dall’ufficio brevetti. L’Europa deve puntare sulle cose essenziali. Non può continuare dentro il delirio mercatista, continuando a occuparsi delle merci in modo ossessivo. Invece, a scorrere la Gazzetta europea anche di quest’anno, si scoprono cose ridicole: norme sul tonno australe o sull’immissione sul mercato della frutta a guscio, secca, di canarium indicum. Cose non necessarie, mentre non si fanno cose necessarie. Poteva reggere fintanto che c’era l’ideologia del mercato, ma ora la storia impone altre questioni.

Ma il governo italiano non va in direzione opposta?

Non direi. Se uno chiede la Difesa europea, la politica estera europea vuole più Europa. La formula “più Europa” è nel programma politico della coalizione del 2022. Lo schierarci contro la Russia, e per una Difesa comune, è assolutamente sulla linea europea.

Come giudica l’idea di coinvolgere Draghi per uno studio sulla competitività nella Ue?

Per me viene prima la politica. Se vai in un bar e chiedi che cosa pensano della competitività o dell’unione bancaria non lo capiscono. Se parli invece di tradizione, valori, magari ti pagano da bere.

Ma al Mes lei avrebbe aderito?

Il Mes lo proposi io nel 2008 e aveva un senso perché metteva insieme serietà e solidarietà. Come ho proposto gli Eurobond, nel 2003. Ma l’uso che hanno fatto del fondo in Grecia è stato devastante, infatti hanno chiesto scusa per sei anni. Magari è una cosa giusta, ma in questo momento secondaria.

Il Pnrr non è la realizzazione di una sua idea?

Le idee sbagliate camminano in discesa, quelle giuste camminano salita, ma camminano. A Davos l’idea degli Eurobond è stata proposta da Macron. Il Pnrr è finanziato con gli Eurobond, ed è una cosa assolutamente positiva.

Altro copyright che ha dimenticato di registrare…

Ma ci sono enormi problemi di impostazione. Il Pnrr è una pila di carte che misura in verticale 23 centimetri di documenti, con formule matematiche o in inglese che si assommano alla burocrazia italiana, tenendo conto che ci sono stati i “decreti Bassanini” e la riforma del Titolo V in un delirio progressivo di normative.

È bene, quindi, la proposta Zuppi di una Camaldoli europea?

Fra le cose politiche che ho fatto, quella di cui vado più orgoglioso è il 5 per mille. Con lo stesso spirito dico che la trovo un’idea straordinaria. Camaldoli si tenne quando c’era ancora la guerra: alla fine la differenza la fanno degli uomini che si mettono al lavoro.