Milano. Pioltello: nel quartiere degli stranieri arrivano le suore missionarie
Una veduta aerea del quartiere Satellite di Pioltello
Suor Rosella è italiana, suor Parboti bengalese e suor Sagaya indiana. Un bel regalo di fine anno per il Quartiere Satellite di Pioltello, hinterland est. Suore missionarie in una periferia sull’orlo di un pericoloso degrado, dove in 40 palazzi a nove piani vivono 10mila persone, 80 per cento delle quali straniere (l’intero Comune di Pioltello conta 37mila abitanti di cui 10mila stranieri) e non propriamente benestanti.
In meno di un chilometro quadrato sono rappresentate 68 nazionalità e c’è da chiedersi in quale altra parte del mondo ciò avvenga, a parte il Palazzo dell’Onu: ci sono pachistani e peruviani, algerini e senegalesi, albanesi e bulgari... Il che è una fortuna, perché vige un certo equilibrio e nessuna cultura prevale sulle altre, ma anche una sfida quotidiana per chi si deve occupare di integrazione, sicurezza, obbligo scolastico, disagio giovanile e familiare. Nelle strade che intersecano il quartiere l’emporio etnico smercia alimenti filippini accanto alla macelleria islamica, le donne nordafricane velate passeggiano accanto alle ragazzine sudamericane in microshort, in una convivenza a volte tesa ma non impossibile.
Suor Rosella, suor Parboti e suor Sagaya sono missionarie dell’Immacolata (Pime) e non sono arrivate per caso al terzo piano di via Cimarosa 1. Hanno scelto per la prima volta di svolgere la missione non in Africa, in Asia o in Sudamerica ma a Pioltello, a incontrare l’umanità che arriva qui da tutto il mondo. «Volevamo capire la realtà del Satellite dall’interno, comprendere in modo più profondo le persone che abitano sul nostro territorio, in particolare coloro che provengono dall’estero e che portano cultura e religiosità singolari. Così con le altre parrocchie di Pioltello e con la Caritas cittadina abbiamo cercato una comunità di suore che potesse semplicemente "abitare" in mezzo a questa variopinta umanità», spiega il parroco di Maria Regina, don Roberto Laffranchi, che all’inizio di dicembre ha benedetto l’appartamento in cui le tre donne vivono. Due camere con un piccolo spazio per pregare, un bagno, un soggiorno con cucina, tutto affrescato di bianco e arredato con mobili di recupero, donati dalla Caritas. L’alloggio è uno dei dieci sequestrati per morosità e messi all’asta, uno dei tre assegnati alla Fondazione San Carlo della diocesi di Milano, che li ha ristrutturati e resi abitabili all’interno di un vasto piano di riqualificazione dell’intero agglomerato (vedi articolo a lato). La presenza delle suore, in una casa rimessa a nuovo, è già di per sé un segno di legalità, in un quartiere in cui non tutti sono in regola con le rate di mutuo o con l’affitto, e con le spese comuni, tanto che alcuni condomini sono falliti. Al Satellite gli ascensori per lo più sono fuori uso e il riscaldamento centrale non funziona: tagliato perché non veniva pagato, così gli inquilini – spesso in subaffitto, 6 o 7 per appartamento, con un turn over rapido – si arrangiano con stufe a pellet o persino accendendo i fornelli per scaldarsi.
«Sì, le suore sono un segno civile: in un appartamento di via Cimarosa torna la legalità. E sono un segno religioso: il Satellite è un luogo in cui ci può essere dialogo tra religioni diverse», commenta la prima cittadina Ivonne Cosciotti, tre figli, funzionaria di banca, in carica dal 2016 con una lista civica sostenuta dal Pd.
Le suore, al momento, non hanno un compito specifico se non quello di «esserci», spiega la superiora, suor Maria Antonia Rossi, di offrire una testimonianza evangelica, di conoscere il quartiere e di farsi conoscere, vivendo tra gli altri, in un appartamento, come tutti, mettendo in pratica la Parola insieme alla gente. Dopo i primi mesi, si vedrà «cosa ci chiederà lo Spirito Santo», dicono. I vicini di pianerottolo per ora sembrano molto felici del loro arrivo, se non altro perché non sono rumorose. Una madre straniera le ha avvicinate chiedendo se potevano aiutare suo figlio con qualche ripasso di italiano.
Già, i bambini: nelle scuole del Satellite l’80 per cento degli alunni sono di origine straniera e tanti hanno bisogno di sostegno. Il Satellite a suor Parboti ricorda la sua città, Dakka: disordinata, non proprio pulitissima. Piena di colori e di profumi, certo, ma anche piena di umanità con tanti bisogni. E confessa che dopo 22 anni di convento la prima notte in un appartamento abbandonato da due anni le ha provocato un po’ di paura. «Ma ora la sento già come casa mia», sorride. E in quel sorriso c’è il futuro di un quartiere che in troppi hanno abbandonato a se stesso.
La scommessa fallita che ora prova a ripartire
Ci voleva una sindaca nata e cresciuta al Satellite per «sognare» la riqualificazione di un intero rione fatiscente. Progettato negli anni Sessanta come quartiere residenziale per la piccola borghesia, ben presto l’impresa costruttrice fallì e i 1.800 appartamenti passarono di mano a prezzi ribassati alle famiglie degli operai saliti dal Meridione. Arrivò qualche mafioso al confino, qui si nascose anche Renato Vallanzasca, e la fama del Satellite iniziò a superare i confini di Pioltello, tra i paesi dell’hinterland a minor reddito procapite e a più alto tasso di disoccupazione. Negli anni Ottanta un nuovo repentino cambio di pelle, con l’arrivo degli stranieri. Oggi gli italiani figli di italiani sono solo il 15-20% degli abitanti. La crisi economica picchia duro: molti proprietari non riescono a pagare le rate del mutuo, né gli affittuari la pigione, le spese del condominio sono inevase.
La manutenzione dei 40 palazzoni è ridotta al minimo. Gli sfratti sono all’ordine del giorno, con i relativi costi per il Comune che si deve far carico del disagio di decine di famiglie. Si calcola che il 50% degli alloggi sia sottoposto o presto lo sarà ad asta giudiziaria. La proprietà delle case è privata, l’ente pubblico quindi ha scarsa possibilità di manovra. Ma non ha le mani legate. Così nasce un tavolo a cui partecipano le più importanti istituzioni, la Prefettura insieme al Comune e al Tribunale, e poi, affiancati, coloro che possono avere voce in capitolo: le Fondazioni, alcune cooperative, la Caritas, l’arcidiocesi attraverso la Fondazione San Carlo... Insieme impostano un ambizioso piano di riqualificazione dell’intero quartiere.
In breve: si immagina un fondo che sia in grado di acquisire gli immobili, ristrutturarli e affittarli (anche con un sistema di rent to buy), con la supervisione del Comune, a famiglie selezionate, residenti in città, che danno garanzia di poter pagare la pigione. Poi si potrà pensare a lavori di ristrutturazione esterni, e allora il cambiamento sarà visibile a tutti. «Certo sarà necessario che la maggioranza dei proprietari voglia andare in questa direzione, in una sorta di housing sociale privato tutto da inventare perché precedenti ce ne sono pochi», precisa la sindaca Ivonne Cosciotti.
Parallelamente, con i fondi del Bando periferie del 2016 sono stati aperti uno sportello per il reinserimento lavorativo delle mamme e due negozi sociali dedicati uno alla ricerca di lavoro, a consulenza su casa e condominio e l’altro ad attività per i giovani. È nata persino una banda musicale di 100 bambini di tutte le nazionalità. E ora al Satellite ci sono anche le suore missionarie.