Sindrome di Down. Trattamento dei deficit cognitivi e farmaci, così avanza la ricerca
Un'immagine dal sito della T21 Research Society, organizzatrice della conferenza internazionale di Roma sulla Sindrome di Down
Ha testimoniato il gran fervore di studi in tutto il mondo sulla sindrome di Down la Conferenza internazionale della Società di ricerca sulla trisomia 21 (T21Rs) a Roma dal 6 all'8 giugno. «La ricerca scientifica – ha osservato Eugenio Barone, capo del Comitato organizzativo della Conferenza e docente di Biochimica all’Università La Sapienza di Roma – riveste un ruolo cruciale perché si occupa di comprendere, analizzare e svelare i meccanismi alla base di una determinata condizione, permettendo così di intervenire per migliorarla».
E dal confronto tra i circa 500 ricercatori e medici convenuti a Roma da 27 Paesi di tutto il mondo sono emerse alcune linee che si sono intrecciate e integrate: da un lato lo studio dei meccanismi molecolari alla base della sindrome di Down, oltre ai modelli preclinici per identificare nuovi bersagli farmacologici. Da un altro lato l’avanzamento degli studi clinici nelle persone con sindrome di Down, in particolare in relazione al possibile trattamento dei deficit cognitivi, una prospettiva un tempo nemmeno presa in considerazione. Il tutto accompagnato da un programma destinato alle famiglie. Tra gli studi clinici, alcuni riguardano il possibile trattamento dei deficit cognitivi nei bambini, altri il trattamento dei disturbi nella malattia di Alzheimer associata alla sindrome di Down.
Tra i primi figura lo studio Icod, finanziato dall’Unione Europea, che sta testando il farmaco AEF0217, presentato dal coordinatore Rafael De La Torre dell’Imim (Istituto per la ricerca medica Ospedale del Mare di Barcellona, Spagna). «Il farmaco – chiarisce Filippo Garaci, docente di Farmacologia all’Università di Catania, responsabile divulgazione del trial – agisce a livello del recettore per i cannabinoidi e promuove un miglioramento delle funzioni cognitive. Terminata un anno fa la fase di sicurezza su 60 volontari sani, è in via di conclusione la sperimentazione su 45 soggetti con sindrome di Down: a breve avremo i risultati che ne confermano la sicurezza e le prime prove di efficacia. Nel frattempo è già stata chiesta all’Agenzia europea dei medicinali (Ema) l’autorizzazione per la fase 2 per la verifica dell’efficacia, che si svolgerà a partire dal 2025 su 200 persone con sindrome di Down in dieci centri in Europa: Italia, Francia e Spagna». Un’altra sperimentazione clinica si sta avviando sotto la guida di Stefano Vicari (responsabile dell’Unità operativa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’Ospedale Bambino Gesù e docente di Neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica di Roma): «Utilizziamo un farmaco diuretico, il bumetanide, di cui si è vista l’efficacia a livello del sistema nervoso centrale e ha migliorato le prestazioni cognitive del topo geneticamente modificato con la sindrome di Down. Lo studio è in doppio cieco e stiamo arruolando i pazienti, su base volontaria delle famiglie (informazioni sono disponibili al Bambino Gesù): abbiamo già venti tra bambini e ragazzi tra i 6 e i 18 anni, ma ne cerchiamo altrettanti in tutta Italia. Ci ripromettiamo di avere i risultati da pubblicare nell’arco di due anni».
Dall’altro lato procedono gli studi che guardano alla malattia di Alzheimer, tra mille cautele. Infatti, riferisce Caraci, Andrè Strydom (King’s College di Londra, Regno Unito) ha messo in guardia dal trasferire automaticamente quello che si usa nei pazienti con Alzheimer alle persone con sindrome di Down, perché queste ultime hanno già mostrato scarsa tollerabilità, per esempio, verso gli anticorpi monoclonali anti-amiloide (la proteina che si accumula nelle cellule cerebrali nell’Alzheimer), per cui bisogna procedere solo dopo accurate sperimentazioni. Anche se, ricorda Caraci, esiste un vaccino anti-amiloide per il quale è iniziato un trial di fase 1 con persone con sindrome di Down. Di qui anche i consigli di Miia Kivipelto (Karolinska Institutet di Stoccolma), che coordina diversi trial clinici sull’Alzheimer, nel promuovere un intervento precoce e multimodale nei confronti della sindrome di Down, che comprenda non solo il farmaco, ma anche lo stile di vita, con attenzione all’alimentazione e all’esercizio fisico, nell’ottica di una medicina personalizzata. Tra gli studi della scienza di base figurano invece i recenti risultati (pubblicati sulla rivista scientifica Neuron) della collaborazione tra Irccs Ospedale Gaslini di Genova e Istituto italiano di tecnologia di Genova. Nel laboratorio di Proteomica dell’ospedale, Andrea Petretto ha fornito l’approccio tecnologico necessario a individuare geni, trascritti e proteine caretteristici delle cellule cerebrali delle persone con sindrome di Down.
«Da qui – aggiunge Laura Cancedda, responsabile dell’Unità sviluppo e patologie del cervello dell’Iit – abbiamo potuto individuare nuovi geni potenzialmente coinvolti nell’origine della disabilità intellettiva che caratterizza le persone con sindrome di Down». C’è un ulteriore interesse nello studio: « I nostri dati sono stati condivisi su piattaforme pubbliche, a disposizione di tutti i ricercatori». Che l’intreccio tra ricerca di base e applicata sia fruttifera è testimoniato proprio dal trial clinico dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, il cui principio attivo è stato individuato anni fa proprio dai ricercatori dell’Iit di Genova. «Senza dimenticare però – puntualizza Vicari – che il primo obiettivo deve essere il riconoscimento e l’accoglienza nella società delle persone con sindrome di Down. Hanno capacità e competenze, provano sentimenti, possono lavorare e raggiungere molte autonomie. Il primo messaggio della Conferenza internazionale è sottolineare la dignità delle persone con sindrome di Down. È comunque positivo se, senza illudere né offendere nessuno, si può cercare di migliorare le loro condizioni di vita».