Costituente Pd. Tra Marx e Lenin, la Costituente dem già spaventa i moderati
Il tono alla riunione, come spesso capita quando il Pd si concede alla riflessione, lo dà Gianni Cuperlo. Citando «l’undicesima tesi di Marx su Feuerbach», l’ex presidente del partito avvia la valanga vetero-socialista che segna per intero la prima riunione del Comitato costituente del nuovo Partito democratico. A Cuperlo si collega idealmente la giovane Caterina Cerroni, confessando che in questa fase sta «rileggendo Lenin tramite Chomsky», in particolare quel nesso strettissimo tra «teoria rivoluzionaria e pratica rivoluzionaria ». Assist perfetto per Andrea Orlando, che àncora la sua lettura critica del centrosinistra nel terzo millennio all’errore capitale - a suo avviso -, ovvero la mancata adesione alle battaglie del movimento no-global al G8 di Genova. Un crescendo di affondi da sinistra che culmina nell’arringa di Nadia Urbinati, rivelatrice, in qualche modo, di quale partita si celi dietro la scrittura della nuova Carta dei valori del Pd. « Non ho capito in che modo può essere vincolante la nostra elaborazione, visto che lavoriamo prima dell’elezione del nuovo segretario. Meglio chiarirci subito, altrimenti perdiamo solo tempo qua», dice la nota e stimata politologa. In sostanza dando voce a chi ritiene che il fine principale del Comitato sia «abbattere» il documento del 2007, un testo che vari interventi definiscono «bolso, brutto, illeggibile ». E, soprattutto, troppo leggero rispetto alla capacità di penetrazione del «neoliberismo», problema evidenziato anche del co-garante, insieme a Enrico Letta, del processo costituente: Roberto Speranza.
Alla raffica di attacchi al documento del 2007, che diventa subito il bersaglio della Costituente, la componente riformista e moderata risponde con un ostentato e coordinato silenzio. Far dire, far parlare, per capire dove si voglia andare a parare. A margine dei lavori, uno dei cattodem più influenti, Alfredo Bazoli, si dice preoccupato del tentativo di portare il Pd verso posizioni tanto radicali. Mentre dopo la riunione, sulle chat, qualche “liberal” inizia ad esprimere il proprio disagio. «Questo confronto è stato utile, ha misurato le distanze tra di noi», scrive il costituente Filippo Andreatta. « Io penso che l’accettazione del mercato con uno Stato regolatore e distributore fosse una delle cose più importanti e moderne del documento del 2007», si fa sentire l’accademico di Bologna.
Insomma, se il Comitato potesse scindersi in due, non avrebbe fatica a farlo. D’altra parte Emanuele Felice, arrivando alla riunione, aveva detto che andava superato il «blairismo», che per altri, invece, nemmeno è stato accennato, salvo la stagione renziana, nella storia dem. E allora il punto, dopo l’avvio dei lavori del Comitato costituente, è quale sia l’obiettivo. L’alienazione del Manifesto del 2007, secondo gli interventi più accesi, che esprimono anche la linea maggioritaria dentro l’organismo. E quindi nella minoranza nasce il sospetto: che la scrittura del nuovo documento sia una sorta di “gabbia preventiva” da mettere intorno al futuro segretario, specie se dovesse rispondere al nome e cognome di Stefano Bonaccini. Insomma, per tradurre il pensiero dei moderati: se anche vincesse il governatore “liberal” dell’Emilia-Romagna, dovrebbe governare un partito che prende le mosse dall’undicesima tesi di Marx su Feuerbach. In sintesi: falsa partenza e, soprattutto, pochi mediatori in campo.